domenica 1 novembre 2015

Santi dentro la storia



Ci svegliamo alle 5 ai primi raggi…dopo una notte passata all’aperto perché il clima di Oum Hadjer è ancora parecchio caldo. Fidele, professore all’Università, e Joseph, infermiere all’Ospedale, mi hanno accompagnato per formare 4 giovani coppie che a Natale si sposano.

                Un bel secchio d’acqua fresca per lavarci, il tempo di accogliere il sole che sale al ritmo del Salmo 63: “Dall’aurora ti cerco…”, di restare in silenzio ripercorrendo le beatitudini del Galileo…ed ecco che arrivano le prime donne, sempre loro le prime!, per riconciliarsi con Dio e con gli uomini…ascolto, ferite, perdono…poi con i resposabili della comunità cristiana intorno al piattone per la colazione a base di pane e salsa con carne di bue…un the e via ad a preparare la celebrazione. In 162 vengono per vivere l’incontro profondo con Dio nell’Eucarestia. La corale canta a squarciagola…il balafon (la batteria tradizionale) riecheggia e dà il ritmo…poi le letture così belle della festa dei santi, la nostra festa…festa di chi è invitato a seguire i passi del Galileo…la meditaazione delle Beatitudini che toccano il cuore della nostra gente…i canti, le danze, i bambini che strillano…

                Al termine della celebrazione il tempo di prendere un the e poi incontro con i catechisti…intanto Fidele e Joseph si ritrovano con le coppie per andare a fondo sul vero valore del matrimonio…controllo l’andamento della piccola scuola che è appena nata e sembra che i primi passi siano buoni…poi ancora tutti attorno al piattone di riso con carne di agnello. I saluti alla comunità e via in strada per aspettare le macchine che fanno la spola Abéché-Oum Hadjer, 140 Km…

                Aspettiamo un oretta perché cercano altri clienti da mettere con noi…così ci invitano sulla strada a mangiare un cocomero e non ci perdiamo l’occasione. Partiamo ma al controllo della polizia mi fermano e mi fanno scendere…un poliziotto nuovo che non mi conosce mi fa storie e mi porta al Commissariato…conosco cosa vogliono, cioè dei soldi, e pensano che come bianco possa spaventarmi. Resto calmo e dico loro che facciano tutti i controlli…che non ho fretta e posso dormire sulla stuoia. Capiscono, mi riconoscono..arriva anche Celestin Lopiagoto il responsabile della comunità cristiana e mi lasciano andare. Così arriviamo ad Abéché che il sole è già calato. Fidele ci invita a casa a mangiare la boule, la classica polenta di miglio. Ridendo e scherzando ripercorriamo la giornata felici di aver condiviso un tratto di strada con la comunità di Oum Hadjer…così è la missione: incontrare, condividere, mangiare assieme, celebrare, formarci insieme…e poi affidare tutto…è quello che vado a fare adesso davanti a Lui per rimettere tutti i volti, le storie, le ferite e le gioie delle Beatitudini al quotidiano della nostra gente nelle sue mani. 

                Chiedendogli il regalo di essere santi come voleva Daniele Comboni per i suoi missionari…non eroi, non gente dell’altro mondo. Gente di qua, semplice, con mille contraddizioni, cadute e limiti, che semplicemente prova a condividere gioie, speranze, fatiche e ferite di questa umanità...al quotidiano...dentro la storia e non sui piedistalli...aprendo cuore, mente e vita a quell’amore unico e infinito di un Dio che sogna di essere Dio non da solo. Ma Dio con noi.

giovedì 15 ottobre 2015

AfroTabaski

Tabaski qui in Ciad significa festa. Quella del pellegrinaggio alla Mecca…e dei tantissimi agnelli per il sacrificio...di Abramo e di tanti suoi seguaci di oggi.

Tanti musulmani partono anche da Abéché come l’imam Ali della grande moschea. Quando passo a salutarlo mi dicono che è partito e mi invitano a sedermi e prendere il the…poi si chiacchiera a lungo in arabo locale e si arriva al dunque: un grande vassoio pieno di kissar, carne, insalata e ogni sorta di delizie ci è servito e tutti intorno attacchiamo con le mani. E’ il nostro Tabaski, cristiani e musulmani tutti intorno al grande piattone…si parla, si ride e si scherza, l’accoglienza viene prima di tutto. Non importa se sono biano e cristiano, qui conta la porta aperta…e così mi ricordo di Fancesco che vuole una Chiesa dalle porte aperte…loro, i fratelli musulmani le hanno già…
Siamo in pena per tutti i morti alla Mecca schiacchiati dalle folle..più di 700 persone! Alcuni chiamano al telefono per sapere se l'imam Ali sta bene...sembra che lui sia fuori pericolo...

Poi passo a trovare il sultano che mi accoglie con gioia e mi invita a colazione il giorno dopo…passiamo con Padre Abakar e Suor Nadia e gli altri membri della nostra Commissione Giustizia e Pace Dialogo Interreligioso, Richard,Maimouna, Mingue…il  sultano ci accoglie nel palazzo e ci fa sedere…poi arriva ogni ben di Dio nel vassoione e lui ci invita ad attaccare con le mani…ci laviamo col secchiello, il sakan come si dice qui, e poi via finché c’è posto…siamo tutti così felici di sentirci accolti, di sentirci a casa…

Sono momenti importanti che creano comunione e fraternità…sono momenti del Regno di Dio che mi immagino così…la stuoia, il piattone al centro e poi tutti con le mani per nutrirsi…senza ingozzarsi..attenti gli uni agli altri…senza divario tra chi ha e chi non ha…solo un sogno? Il dialogo non è allora anche soltantoun vassoio al centro e tante mani che circolano? Un giorno nella vita per sempre, che è anche già questa, non ci troveremo forse a vivere così?

La allora, nel Regno, ci nutriremo solo di Lui, della sua Parola e del suo amore…ma intanto qui ci prendiamo un antipasto insieme in attesa di ritrovarci un giorno tutti dove distinzioni, colore della pelle, soldi in tasca, religioni non potranno più creare cittadini di serie A e di Serie B…ma solo cittadini degni e liberi del Regno.

venerdì 18 settembre 2015

MIssioneé...lasciarci ribaltare!





Piste per vivere l’ottobre missionario sui passi di Mc 10,35-45

Se i cinque morti e i 7 sette feriti della battaglia di Oum Hadjer (dove si trova anche la nostra comunità cristiana) non mi feriscono il cuore non sono ancora missionario della buona notizia di Gesù di Nazaret. Il dottor Pascal ha lavorato fino a notte fonda per cercare di salvarli…

Se la morte della piccola Agnes per malnutrizione non mi fa ribollere le viscere dentro non sono ancora missionario del Regno di pace e giustizia. 

Se dormo sonni tranquilli quando i nostri fratelli e sorelle del vicino Burkina Faso vivono ore drammatiche dopo l’ultimo colpo di Stato non sono ancora un missionario col Vangelo nel cuore. 

Se non esulto per la preghiera fatta insieme questa mattina tra leaders cristiani e musulmani non sono ancora missionario della gioia. 

Se non ci lasciamo ribaltare da Gesù di Nazaret, dalla buona notizia del suo sogno di giustizia e pace, dagli impoveriti della terra e dalla storia ferita di questa nostra umanità non c’è missione di Dio! Ci sarà missione di uomini come a volte chiamano quelle azioni “umanitarie” con armi e carri armati, magari un avventura, un viaggio, delle idee, spesso solo di uomini, da trasportare, delle culture da imporre, degli stili estranei che non fanno breccia nel cuore dei popoli impoveriti che hanno fame e sete di giustizia! Ma saranno sempre gli altri che devono cambiare e non noi stessi! Qui o l’Africa ti cambia dentro davvero o vai presto a casa…o la gente ti entra nel cuore e te ne innamori o non resisti. O provi almeno a capire senza troppo giudicare culture e abitudini o vivi male e non annunci un bel niente. Anzi magari trasmetti solo tristezza e delusione…il contrario del Vangelo! E sei già di-missionario. Quindi meglio andarsene.

Lasciarsi ribaltare è lasciarsi spiazzare con il coraggio di cambiare noi stessi: stili di vita, relazioni, parole e gesti, scelte coraggiose che ci avvicinano a quelle di Gesù di Nazaret. E’ la missione che ti cambia dentro. Come quando ti accorgi che le persone vengono prima dei programmi, i volti prima delle idee, l’ascolto profondo prima della decisione, il cercare condivisione e consenso prima del’orologio, il capire che chi ti circonda è soggetto dell’annuncio della Buona Notizia di Gesù e non soltanto oggetto. Al passo del popolo e non a quello dell’efficienza a tutti i costi. Convertirci alla vita piena per tutti e non convertire qualcuno…a quello semmai ci pensa l’amore e la passione di Dio per l’umanità. Un Dio che non cerca percentuali di appartenenza ad una religione o ad un'altra. Ma un Dio che cerca discepoli del Regno: uomini e donne che camminano sulla terra portando in cuore il sogno della fratellanza universale. Uomini e donne che si lasciano spiazzare perfino vivendo la propria passione e morte…fino ad essere creature nuove e risorte! O c’è questo passaggio, questa Pasqua, o non c’è missione.

            E’ questo, mi sembra, il messaggio del Vangelo di Marco per la Giornata Missionaria Mondiale di quest’anno.

In cammino verso Gerusalemme, il centro del potere economico, religioso e politico di quel tempo e di quella terra, Gesù racconta ai suoi amici che la strada verso il sogno del Padre è in salita e che chi si batte per ribaltare le ingiustizie del mondo va incontro alla sofferenza, all’incomprensione, alla solitudine e alla morte. Ma è lì il senso e il gusto di una vita spesa davvero per un mondo migliore. Una vita che non spende, come chiedono di fare Borse, pil al rialzo, spread e consumi sfrenati, ma che si spende. Che si consuma. Gesù lo racconta tre volte, il numero completo, ma i suoi amici sono completamente distanti, non vogliono capire perché i possibili privilegi e tornaconti del seguirlo accecano i cuori. E l’ambizione prende il sopravvento. Come nella nostra Chiesa dove, nonostante Francesco e la sua rivoluzione, si cercano ancora carriere, reputazione, fama, soldi, privilegi. A tutte le latitudini…

            Giacomo e Giovanni, amici pescatori della prima ora, ci provano: posti di potere e salari garantiti. In tanti fanno così in Ciad quando conoscono qualcuno ai vertici e magari fanno parte della stessa etnia. Anche nella Chiesa di Gesù. Corruzione e legami familiari non sani corrodono il tessuto sociale ed ecclesiale. Lasciando sempre ai margini gli impoveriti al di sotto della soglia di povertà; oltre il 70% in un paese produttore di petrolio! 

            Nel loro incontro con Gesù non ascoltano e vanno solo al loro interesse: non gli frega niente se chi seguono farà una brutta fine, basta che loro siano piazzati. Invece di lasciarsi spiazzare. A quel punto, quando avranno ottenuto il posto richiesto, l’onore e il compenso, lo molleranno. Questa non è preghiera! Preghiera è l’incontro profondo con il radicalmente Altro, il Padre-Madre di tutti che ci chiede di ascoltare e poi di fare la sua volontà, non la nostra. Una volontà non da tiranno, ma quella che coincide con la nostra felicità (Sal ). Quante preghiere inutili che Dio non ascolta! Lo dico spesso alla nostra gente. Dio ascolta il grido di chi si affida nella prova, di chi si abbandona davvero e non di chi chiede per sé senza poter poi vivere quel battesimo di Gesù, l’immersione nella vita della gente e del suo popolo fino a lasciarsi consumare e mangiare dalla gente. Non siamo missionari senza la passione dell’incarnazione nella vita, morte, lotta, speranza del popolo in mezzo al quale viviamo. Non siamo missionari se ci accomodiamo in uno stile di vita borghese, troppo distante dalla gente, seduti su privilegi ingiustificati senza sentire l’odore delle pecore e il sangue che scorre nelle vene aperte del popolo. Possiamo essere magari buone persone con buoni intenti ma non ancora veri missionari di Dio e del Vangelo. Quanta strada resta da fare!

            Serve un cambio radicale di mentalità: fare esodo da noi stessi per mettere al centro Dio che chiede di essere servito nei fratelli e sorelle più poveri e abbandonati. Un programma preciso di vita, la vera missione: “Uscire da noi stessi” diceva Helder Camara. Per metterci a servizio e non per farci servire. 

Mi vien male quando la nostra gente ci prepara la sedia migliore, il pasto migliore, ci porta il sakan (catino) per lavarci le mani prima di mangiare. Ho provato a fare una scelta ma mi trovo ancora a lottare contro i privilegi che mi accomodano. Ma se la mia mentalità non cambia e non servo 24 su 24 non sono ancora un missionario. Se metto degli orari di ricevimento e mi nego alla gente perché devo riposare non sono ancora missionario. Se non do la vita ogni giorno nel quotidiano accanto a questo popolo che lotta e che spera non sono ancora missionario. Se chiudo la porta a Anaclet che mi chiede alle 3 di mattina di portarlo in ospedale perché sua moglie deve partorire non sono ancora missionario. Se prometto a Wilfrid di andare a trovarlo in prigione perché è disperato e vuole parlarmi e poi non ci vado non sono ancora missionario. 

E’ soltanto dando che si riceve, dando la vita che la si ritrova in pienezza…questo è il segreto del Vangelo che chiede di essere vissuto. Perché finché ne parliamo ma non lo viviamo non lo capiamo e non ne gustiamo i frutti. Più ci lasciamo mangiare dalla gente e più diventiamo noi eucarestia, pane spezzato per gli altri, più la vita rifiorisce nelle vene della nostra storia. Più si ama e si rischia per Gesù di Nazaret e per il Vangelo più si assapora una vita così intensa piena e bella che non può finire e che non finisce. E già per sempre…


venerdì 28 agosto 2015

Ripartendo...verso il sogno di Dio




Carissime/i un abbraccio a tutte/i con la gioia del Vangelo.
Proprio quella che ci ha portato due anni ad aprire una nuova comunità comboniana al nord-est del Ciad al confine con il Sudan e la travagliata zona del Darfur. Siamo in tre: padre Abakar dal Sud Sudan, il diacono Bernard dal Congo e io. Come piccola presenza proviamo ad essere nel grande oceano musulmano, il 97% della popolazione, quello che voleva Gesù per i suoi discepoli: il sale della terra e la luce del mondo. Ci proviamo, con tutti i nostri limiti! E ci sentiamo accolti e protetti dal mondo musulmano. Volti e storie che ora hanno un nome. Viviamo insieme nel quotidiano e anche collaboriamo e lavoriamo insieme nella scuola, nel centro culturale e nei progetti di sviluppo. Hanno ben capito che noi non cerchiamo proselitismo e conversioni ma, in punta di piedi, proviamo ad essere un piccolo segno di fratellanza universale. E questo è davvero possibile! Con anche difficoltà e barriere in due anni abbiamo rinsaldato quelle belle condizioni per l’incontro ed il dialogo che i gesuiti prima di noi avevano preparato per 60 anni. Abbiamo bisogno innanzitutto noi di convertirci! Non all’islam…ma all’umanità, per essere uomini e poi anche cristiani più veri e più autentici…
Abbiamo una comunità cristiana formata da 18 piccole comunità in un territorio di oltre 200.000 Km² esteso su 6 regioni! Siamo sempre in viaggio per visitare e incoraggiare le piccole comunità cristiane e non farle sentire sole in condizioni molto dure come caldo estremo del deserto e forte escursione termica, pochissima acqua, molto tifo e malaria. Ma non ci arrendiamo perché è proprio Dio il primo a non arrendersi! Proviamo a creare sempre buone relazioni con i fratelli e sorelle musulmani. Organizziamo seminari di studio e incontri sul tema della cultura della pace, molto sentito qui dopo 30 di una guerra che lascia ancora profonde e aperte ferite.
Accompagniamo con la nostra presenza e amicizia i rifugiati del Darfur: 300.000 nella nostra comunità cristiana da dieci anni! Proviamo a portare avanti progetti di sviluppo legati alle scuole, all’acqua e alla generazione di reddito. Come il sostegno a due associazioni di donne musulmane che ci chiedono macchinari per produrre olio di arachidi e tessere abiti.
Per noi annunciare la buona notizia del Vangelo significa gridare con la vita la gioia di esserci qui e insieme costruire il sogno di Dio…nel nostro piccolo quelle condizioni di pace, giustizia e fratellanza universale…così urgenti al mondo di oggi. L’anelito profondo di tutti…ma da scavare e tirar fuori!
                Sappiamo e sentiamo che ci siete anche voi e tanti altri ad accompagnarci, sostenerci, incoraggiarci…e noi andiamo avanti con la gioia di chi sa che la missione è Sua!  Proviamo ad essere le sue mani e le sue gambe per ricostruire questa nostra umanità così ferita. Recuperiamo insieme l’incanto perduto e il sogno di un mondo radicalmente altro dove al centro c’é il Dio della vita che vuole vita degna per tutti e non il dio denaro!

Vi abbraccio forte nel Dio della vita,
e porto il vostro abbraccio di pace alla nostra gente…
Vostro amico e fratello nel cammino
Filo

martedì 30 giugno 2015

Metti in circolo il tuo amore



Mc 1,7-11
7 Giovanni proclamava dicendo: Viene dietro di me quello più forte di me, del quale io non sono sufficiente a inchinarmi e sciogliere il laccio dei suoi sandali. 8 Io vi battezzai con acqua, ma lui vi battezzerà in Spirito Santo. 9 E avvenne in quei giorni: venne Gesù da Nazaret della Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. 10 E subito, salendo dall'acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito come colomba scendere su di lui. 11 E venne una voce dai cieli: Tu sei il Figlio mio, il diletto; in te mi compiacqui!

                Giovanni ha una missione, un senso bello alla sua vita, un amore appassionato: spendersi per aprire la strada alla speranza. Quella che si respira a stento nel nostro dilaniato mondo dove gli attentati in Nigeria, a Parigi, in Siria, in Iraq e in Terra Santa vogliono farci credere che non sia più possibile vivere assieme sulla terra. Qui in Ciad arrivano gli sfollati nigeriani dal lago dopo la tremenda strage di Baga dove un intero villaggio é stato devastato da Boko Haram, il gruppo terroristico che terrorizza il nord Nigeria e il nord Camerun. Dopo i profughi del Darfur e del Centrafrica ora arrivano anche da occidente i fratelli e sorelle che hanno perso la loro terra. Tutti vedo che parlano della Francia e degli attentati di Parigi! Ma dell’Africa a chi gliene frega? Ci sono cittadini di serie A e di serie B sulla terra? Qualcuno vale di più solo per il fatto di essere europeo? Non facciamoci rubare la verità profonda dello stare al mondo!

                L’uomo del deserto parla di un altro:  tutta la sua vita, le sue parole e i suoi gesti parlano di un altro! Difficile per noi narcisisti e figli dei “selfie” parlare di altri. Facciamo di tutto per attirare attenzione, successo, soldi: spudorati figli dell’era dell’ottimizzazione del profitto e dell’allocazione massima delle risorse…magari proprio quelle del sottosuolo africano saccheggiato e deturpato dalle grandi multinazionali che non risparmiano mazzette per assicurarsi pozzi e quattrini. Come hanno fatto in Tanzania le compagnie petrolifere ExxonMobil (Usa), Statoil (Norvegia), Bg Group e Ophir (Gran Bretagna) per assicurarsi enormi giacimenti offshore di gas naturale recentemente scoperti. Ma potremmo dire del Ciad dove si spartiscono la torta del petrolio i grandi del mondo. Giocano ancora a schacchi sulle spalle della povera gente che non sente i benefici dell’oro nero.

                Questo altro raccontato da Giovanni è più forte: non ha armi, predica e pratica la nonviolenza attiva, racconta il sogno del Regno. Come può essere più forte? La vera forza quella che tutto sorpassa e può davvero è l’amore incondizionato. Quello che vince anche la morte! Altrimenti con tutte le armi e gli eserciti che avevano perché Ben Ali, Mubarak in Egitto, Compaoré in Burkina Faso sono saltati? La vera forza è il dono totale di sé stessi. Come Gesù di Nazaret che si è svuotato per farci spazio dentro una storia nuova, ribaltata. Quella dove gli uomini e le donne della terra si trattano finalmente come fratelli e sorelle. Qui ad Abéché, al nord-est del Ciad, a stragrande maggioranza musulmana tutti vanno in giro con il coltello, non si sa mai. Il Dottor Kodi, amico e fratello musulmano, nella sua conferenza con i giovani tuona:”Ma dove siamo? Che mondo stiamo costruendo? E’ pazzesco come i padri nei nostri quartieri chiedono ai figli  prima di uscire di casa se hanno preso il coltello? E’ questa la società che vogliamo costruire? E’ questo il modello che i padri passano ai figli?”. Noi missionari andiamo come siamo..senza doverci difendere. La nostra forza sono Gesù di Nazaret e il Vangelo che si fanno strada da soli. Quando i militari ci perquisiscono la macchina e trovano delle Bibbie, calice e patena per la messa, ci lasciano andare subito: il nostro lasciapassare. Ormai ci conoscono e anche i musulmani sulla strada spesso ci dicono: “Prega per me”.

                Giovanni non é colui che deve dare vita al defunto Israele. Vigeva in quel tempo e in quella cultura che una donna rimasta vedova senza figli, il peggio in assoluto, veniva presa dal fratello del marito per poter avere almeno un figlio e lasciare al defunto una discendenza. La “legge del Levirato” molto comune ancora qui in Ciad in diversi gruppi etnici. Ma se il fratello rifiutava doveva togliersi il sandalo e darlo ad un altro che prendeva su di sé quel diritto. Non è allora Giovanni che può dare vita ad Israele ormai vedovo per essersi allontanato da Dio. Ma quel diritto e quell’impegno sono di Gesù! Yeshoua in ebraico, quello che sulla croce non si tira indietro e non l’Issa del Corano che è sostituito da un sosia. Questo è un punto chiave che differenzia la cristologia cristiana da quella islamica. Abbiamo un solo Dio? Sì, ne sono convinto ma lo narriamo e lo preghiamo in modo diverso. Parliamo linguaggi diversi, tradizioni diverse, modi di pregare diversi, modi di vivere diversi. Quando il sultano di Iriba mi attacca e mi dice che non ha senso che io sia celibe gli rispondo per le rime senza arrabbiarmi: “Fratello tu segui il Corano e vacci in fondo. Io seguo la Bibbia, almeno ci provo, e ne sono felice”. L’incontro interreligioso si fa con rispetto ma anche con franchezza, con coraggio e con audacia. Certo l’incontro col diverso cambia la prospettiva di vedere le cose, il modo di atteggiarsi, allarga orizzonti e vedute. Ma anche consolida delle certezze e approfondisce una critica propositiva dell’altro. Il fatto di essere piccola minoranza non deve farci paura o chiuderci nelle nostre piccole certezze. Dobbiamo osare essere fermento. Dobbiamo osare di essere Chiesa in uscita come ci invita papa Francesco. Chiesa che esce, che rischia, al fianco dei poveri, per la giustizia.

                Il Gesù dei Vangeli battezza in Spirito Santo. Immerge cioè nella capacità di amore di Dio, in una vita di una qualità così bella e forte che neanche la morte può distruggere. La riconosci la persona che è mossa dallo Spirito: la gioia di vivere, il coraggio delle proprie scelte, l’andarci fino in fondo. Quello Spirito che leggo sui volti di Patrice, cristiano burkinabé, derubato due volte ad Abéché ma ritornato al suo lavoro per una ong che segue progetti si sviluppo rurale, di Fidele, professore all’Università e nostro catechista, anche lui picchiato, derubato e con il fucile alle tempie. Hanno una marcia in più! Sono tornati fedeli al loro posto! E ringraziano di essere vivi.

                Per entrare nelle vene aperte di questo nostro mondo Gesù di Nazaret decide di farsi battezzare, di immergersi nel cuore del mondo. Di provare sulla pelle i nostri dolori e gioie, fatiche e speranze. Solo chi vive in prima persona e sulla pelle quello che predica diventa davvero testimone! Questa è la missione: amare un popolo e lasciarsi amare, dare la vita. Camminare insieme, spendersi perché la tua vita appartiene a loro! Non ti appartieni più. “ la mia vita vi appartiene, vi appartenga anche la mia morte” disse Lele Ramin in una predica prima di morire, ormai minacciato di morte. Lui l’ha detto, è stato coerente e ne ha pagato il prezzo. Ma il prezzo più alto è quello di non schierarsi per paura dalla parte dei poveri e della giustizia. Il prezzo di restare neutri o indifferenti, spesso tristi sentendosi impotenti e lasciando scorrere la nostra vita senza prenderla in mano.

                Risalire dall’acqua è risorgere. Ne abbiamo bisogno nell’Africa che ancora vive troppo di passione e morte. Di armi vendute (gli italiani siamo tra i primi!) per fare guerre intestine, di mine antiuomo, di terra rubata! E dei minerali che vengono continuamente rubati in Centrafrica nel caos più totale possiamo parlarne? Perché i grandi della terra giocano a scacchi con noi per rubare meglio! Ora il Ciad interessa a tutti che sia stabile, che non ci siano conflitti..ma fino a quando? Negli Stati attorno invece si è provocato il disordine del tipo “si salvi chi può e rubino tutti”. Vedi il  Centrafrica, la Libia, il nord Nigeria e nord Camerun, il Sud Sudan. Siamo dentro un gioco più grande di noi e abbiamo sete di Spirito, di pace vera, di colombe che volino libere in cieli liberi da missili, aerei da guerra, fumo nero delle macerie. Come la colomba che esce dall’arca di Noé e porta la buona notizia di un ramo di ulivo: le acque si sono abbassate, la vita ritorna. Come nel deserto dopo la stagione delle piogge che devastano ponti e villaggi: i wadi, i ruscelli del caso, si riempiono fino all’impossibile e per qualche ora l’acqua scorre inesorabile. A Tine, alla frontiera con il Darfur, sono morte nove persone l’agosto scorso per essere state sorpresa da un immensa onda d’acqua mentre attraversavano un wadi. Ancora oggi nei grandi ruscelli secchi si incontrano spesso macchine e camion travolti dall’impeto dall’acqua. Segno di una forza della natura incredibile.

                Chi sceglie la strada di Gesù, quello dei Vangeli, avrà una conferma: la strada è quella giusta, quella dell’amore che risponde all’amore. Ma anche al male degli uomini. “Vincere il male con il bene” direbbe il missionario Paolo. In un crescendo che non ha limiti. “Metti in circolo il tuo amore” cantava Ligabue. Il Padre conferma la scelta di Gesù, quella più bella di amare fino in fondo. Soltanto così la vita assume un gusto inimitabile, senza prezzo, quello di una gioia che sorpassa tutto. “Quella per cui vale la pena vivere e, se serve, morire” diceva sempre Martin Luther King.


mercoledì 20 maggio 2015

La buona afronovella

Cammini di liberazione islamo-cristiani 

EDIZIONI IMPRIMENDA
Padova - maggio 2015
Euro 5

Chi ancora non si é lasciato scoraggiare dalle notizie del mondo, 
chi ancora porta in cuore il sogno,
chi non si arrende davanti alle ingiustizie planetarie
e alla violenza globale
forse può ancora trovare in queste pagine 
un respiro, un sollievo, un ostinata speranza,
un motivo per cui vale la pena vivere e morire
una Buona Novella,
che viene da Madre Africa...


dalla quarta di copertina...di Fabiano e Cristina Ramin

Questa testimonianza - semplice e vera - di convivenza pacifica
tra cristiani e musulmani nel Ciad sorprende e commuove.
Come scrive p. FiIo, vari gesti di solidarietà quotidiana tra
cristiani e musulmani mostrano a tutti coloro che “ritengono
che con l’Islam non ci sia nulla da fare, che invece una strada
è possibile, necessaria e urgente”. E aggiunge: “Lontano dai
riflettori del mondo, in piccoli angoli sconosciuti della terra ci
sono i piccoli di Dio che testimoniano in modo vero e concreto
che l’incontro tra diversi è ancora possibile e che la fratellanza
universale non è più una chimera. Ancora l’Africa fa scuola al
mondo...”.
E cosi da questo paese africano - il Ciad - ci arriva un Vangelo,
una Buona Notizia che vale la pena di essere raccontata e
annunciata a tutti: cristiani e musulmani si riconoscono fratelli
e sorelle nella lotta quotidiana per una vita più giusta e
più umana. Non è solo un miraggio o un’illusione: è la realtà
che vivono tante piccole comunità in questo paese africano.
Insomma, c’è un’alternativa alla disumanità

venerdì 15 maggio 2015

Passi di pace...



                  Sabato 2 maggio alle 8 del mattino ci siamo ritrovati al nostro Centro Culturale “Foyer des Jeunes”. Leaders cristiani, protestanti e cattolici e leaders musulmani. Attorno all’unico tavolo della cultura della pace.  Sono risuonati versetti del Corano e della Bibbia, ascoltati con grande rispetto e attenzione. Abbiamo parlato del mondo più umano e più giusto che vogliamo costruire assieme, senza dividerci. “Non riusciranno i potenti a divederci tra religioni! Restiamo uniti nel nome di Dio e della pace!” ha tuonato qualcuno.
                Tutti contro il terrorismo e le guerre che infestano il mondo ci siamo sentiti un sol cuore e una sola anima. Il Comitato Giustizia & Pace – Dialogo interreligioso della nostra comunità cristiana ha organizzato così nel tempo di pasqua un iniziativa che vuole diventare una tradizione. In vista di organizzare insieme la giornata nazionale della Coabitazione Pacifica, il 28 novembre prossimo. Già ci stiamo preparando e il Vescovo ci ha assicurato la sua presenza. Siamo in cammino…
                Nella Bibbia e nel Corano risuona che la PACE è il nome di Dio: un buon punto di incontro e di dialogo. Abbiamo lanciato altre proposte: lavorare insieme ad una campagna contro il traffico dei bambini-pastori, una vera e propria schiavitù di oggi in Ciad, proporre alle scuole un percorso tematico sulla cultura della pace. Il Ciad che ha vissuto 30 anni di guerre intestine non ce la fa più a pronunciare quella parola. Dappertutto tutti invocano pace anche se in fondamenti, la giustizia e la verità ancora scricchiolano. La pace è ancora molto fragile ma noi leaders religiosi abbiamo un compito molto importante. IL Presidente del Consiglio Superiore degli Affari Islamici ha confermato che incontri come questi rafforzano la nostra amicizia e fiducia. Dobbiamo allora continuare con pazienza e costanza sulla via della pace. Mentre attorno a noi si combatte: in Nigeria, in Sud Sudan, in DArfur, in Libia, in Centrafrica…
 
                I presupposti ci sono…alla fine un panino insieme e un bicchiere di the per concludere l’incontro. I leaders musulmani mi hanno invitato ad andare dal Papa e chidergli di fare di più per il dilogo e la pace tra religioni. Abdelkerim, fratello e amico, mi ha confidato: “ Credo che una personalità così come il Papa ha una forza grandiosa…e se si pronuncia sulla pace e sull’incontro tra religioni il mondo lo ascolterà”.
                Riuscirò a incontrarlo?