lunedì 7 novembre 2016

L'acqua di Zemzem




Ci abbracciamo a lungo e ci sorridiamo! L’incontro col mio fratello Adam Abdallah Moussa, imam della grande moschea di Tine, è per me un preludio al sogno di Dio. Il sogno di un mondo dove la fratellanza universale non è teoria per pochi ingenui ma è prassi del dialogo che si fa vita, amicizia, incontro profondo.

Ero in visita alla comunità cristiana di Tine alla frontiera con il Darfur: un immersione di volti, incontri, famiglie, celebrazioni, feste. E non potevo mancare all’appuntamento: la visita al mio fratello imam. Proprio lui che rientrava dal pellegrinaggio alla Mecca dopo essere passato a visitarmi ad Abeche.

                Cammino a lungo all’ora del tramonto, prima di ritrovare la sua casa. Lo chiamo e subito mi accoglie con la gioia che sgorga dal suo volto buono. Mi siedo sulla sua stuoia, nella sua camera che amo moltissimo perché è piena di libri che commentano il Corano. Subito mi serve l’acqua sacra di Zemzem, la fonte inesauribile della Mecca che già prima di Maometto dava ristoro ai carovanieri. Un acqua che è simbolo unico per i musulmani della vita fedele al Corano, vita che non può finire. Quell’acqua mi ricorda tanto quella della Samaritana al pozzo di Sicar, sorgente di vita per sempre! Acque di religioni diverse che si incontrano nel mare dell’unico Dio.

                La bevo con emozione provando ad immergermi nel significato profondo di un gesto che per un musulmano convinto porta guarigione, pace e vita piena. Per un attimo volo col pensiero e col cuore alla Mecca, mi lascio trasportare da un sentimento che mi avvicina alle viscere dell’Islam. Io cristiano, o almeno ci provo, mi sento proiettato ad andare oltre l’acqua e oltre la religione per incontrare il volto di Dio. “In fondo al pozzo c’è acqua cristiana o musulmana?” chiedeva l’amico musulmano a Christian, priore di Tibhirine. “In fondo al pozzo c’è solo l’acqua di Dio” rispondeva Christian.

                Trasportati dall’entusiasmo dell’acqua di Zemzem parliamo a lungo in arabo, mangiamo insieme la “boule” sudanese, beviamo il the e accogliamo tutti gli amici che vengono a salutarci. Quando ci ritroviamo soli approfitta per inclinarsi verso la Mecca e pregare. Nello stesso momento io lo guardo e dentro me riformulo il Padre Nostro. Padre mio e di Adam Abdallah. Padre e Madre di tutti! Soprattutto Padre e Madre delle vittime di questa nostra umanità ferita al cuore che, per sete del dio denaro, fa leva sulle differenze di etnia, sesso, geografia e religione per ingrassare i ricchi e alleggerire i poveri. Padre e Madre che agisce nel cuore dei semplici, così semplici e capaci di mettere in soffitta la religione e le sue dottrine per riportare al centro l’Uomo e il Fratello.