martedì 29 gennaio 2013

Perché Abbà?




Sono arrivato domenica mattina in un villaggio sperduto fuori N'Djamena, a 95 chilometri dalla capitale. Direzione sud...non perdo ancora il vizio delle comunità sperdute, della strada e del mangiare con la gente dallo stesso piattone e con le mani. Riso e carne di oca. Spettacolo!

Aspettavano un prete da anni per celebrare l’Eucarestia! Che festa! Che canti! Sono la comunità de “l’Ancien pont”. Parlano la lingua Marba e sono uno dei tantissimi gruppi etnici che popolano il Ciad. 

Ho raccontato loro il progetto di Gesù di Nazaret, quello della liberazione senza confini. Degli oppressi di tutto il mondo, dei prigionieri, dei ciechi. Che finalmente apriranno gli occhi! Certo che se cominciassimo noi ad aprire gli occhi sul nostro mondo...cominceremmo a chiederci:

perché c’é la crisi per tutto ma non per la produzione di armi?

perché nel mondo terribilmente ingiusto qualcuno non sa come spendere soldi e altri non sanno come trovarli per sfamarsi?

Ma che razza di mondo é?

Perché si parla del Mali solo quando sono coinvolti alcuni militari europei?

Perché molti non sanno neanche dov’é il Ciad e neppure gliene frega saperlo?

Ma chi sa che al mondo esitono e ne hanno diritto anche il popolo Marba?

Ma é la Chiesa di Gesù di Nazaret se dimentica gli impoveriti del mondo?

Perché la Chiesa fa battaglie all’ultimo grido contro l’aborto (indiscutibili!) ma non si occupa con altrettanta forza di preservare la vita dei tentissimi che sono senza diritti, voce, cibo e riparo?

Perché nel terzo millennio non ci svegliamo fuori e ci sbattiamo per un mondo radicalmente nuovo?

Perché Dio, Papà e Mamma di tutti, noi uomini siamo ancora cosi’ lontani dagli impoveriti del mondo e quindi cosi’ lontani da te?

Perché Abbà il tuo Figlio in croce non attira più tanto i giovani a seguirlo e spendersi completamente per il suo progetto del Regno?

Colpa nostra? Colpa tua? Colpa dei tuoi discepoli senza più coraggio e ardore? Colpa del sistema che addormenta i cuori e i sogni?

Credo profondamente che la tua Parola e il tuo progetto del Regno affascinino ancora. E c’é ancora qualche folle in giro che prova a seguirti con tutto quello che ha. 

Grazie Abbà! Per i testimoni che incontro sulle strade d'Africa...

Aprici ancora gli occhi che sanno piangere di gioia con la comunità Marba che celebra il tuo amore folle per l’umanità nuova.


lunedì 21 gennaio 2013

La bici di Nerbé





Non perde un colpo e non molla la bicicletta. Da più di quarant’anni percorre le strade di Moissala per annunciare la Buona Notizia di Gesù al suo popolo: gli Mbay. Ci crede fino in fondo e non si perde mai una messa, un incontro. Visita regolarmente le comunità cristiane del suo settore e quando arriva i bambini cominciano a cantare e saltare di gioia. E’ un papà per tutti. Un papà dal viso buono che non si arrende mai. Neanche quando si vede morire tra le braccia la figlia Ronel (la Gioia) ormai distrutta e “mangiata” dai vermi. All’ospedale di Doba siamo passati a trovarlo con padre Michael, confratello comboniano, e abbiamo pregato insieme per lei. Poi è tornata al Padre-Madre di tutti. E lui con la bicicletta si è rifatto gli 80 chilometri per tornare a casa. Quelli stessi che aveva fatto di corsa per raggiungere l’ospedale con la figlia sul portapacchi. Incredibile!

E’ nato verso il 1949. Verso perché qui non c’erano registri delle nascite. Mai chiedere l’età a qualcuno da queste parti. E’ già metterlo in difficoltà. Il suo villaggio è Brakaba a 80 chilometri da Moissala, il centro della Parrocchia. Nel 1961 viene battezzato dopo 3 anni di cammino e di scoperta di quel Gesù di Nazaret che gli stava cambiando la vita. E poi un continuo di impegni, sudore, incontri, ritiri. Tutto per il Vangelo. E senza prendere una lira. Certo con i suoi limiti e difetti. Qualcuno dice che è un po’ altezzoso. Ma io credo che dietro ci sia un po’ di gelosia. Quando lo chiamo per ridere “Vescovo di Tuzinde”, il suo settore, ride in sottofondo e prova a nascondere l’imbarazzo. Tutti lo conoscono e lo salutano quando passa in bici!

Da mesi è ammalato. Le ossa gli fanno terribilmente male e da ste parti niente rimedi. Fa ormai fatica a lavorare il suo campo e si affida a sua moglie Silawai. La quale presa da troppo lavoro si rifugia da tempo nell’alcool. Un giorno è venuto da me disperato per chiedermi di fare qualcosa. Sono partito a casa loro e la notte attorno al fuoco ho tirato fuori l’argomento. Non l’avessi mai fatto! Lei si è alzata dalla sedia urlando e negando tutto. Per poi ripensarci qualche settimana dopo e cambiare davvero vita. Gli Mbay sono così: non apprezzano le osservazioni e i rimproveri. La reazione a caldo è brusca. Ma poi il tempo lavora le coscienze…

Primo direttore del Centro di formazione dei catechisti di Silambi è ancora oggi un pilastro della comunità cristiana di Moissala. Uomo di assoluta fiducia. Gli chiedi un favore e stai al sicuro. Gira le comunità dormendo la notte sulla stuoia e quando fa caldo sotto l’albero. Quando parla tutti l’ascoltano perché non si infiamma mai e non ha mai fregato nessuno. Un cristiano come pochi. Sempre presente, anche nei posti più lontani e nei villaggi più difficili, come Lapia, oltre la foresta a più di 30 chilometri da casa sua. Ci siamo ritrovati assieme in dicembre alla festa del raccolto. Gli ho chiesto in confidenza se avesse qualcosa da rimproverarmi dopo tre anni di lavoro assieme. Ci ha pensato a lungo la notte. Poi al mattino mi ha detto: “ Con te mi trovo molto bene. Ma attento! Giochi troppo con i bambini…”. Ci son rimasto! Da ste parti funziona così. E finisce che nessuno, o quasi, per tradizione e dintorni, gioca  e si diverte con i piccoli.

Quando sono partito da Moissala è venuto a salutarmi al villaggio di Silambi II e ha ballato anche lui la sera con i giovani. Perché il suo sangue è ancora giovanissimo. Non importa la data anagrafica, che tra l’altro qui non siste, ma quell’entusiasmo irresistibile che viene dall’aver incontrato davvero Gesù di Nazaret e il suo progetto di liberazione.

Gli regalo una piccola croce come ricordo. Ma lui l’ha portata e vissuta tutta la vita. E continua a sentirla sulla pelle. Perché chi si avvicina così tanto a Gesù di Nazaret non può che viverne a fondo lo stesso destino, progetto e sogno. Anche pagandone il prezzo più alto.
Grazie Nerbé, amico e fratello nel cammino!

venerdì 18 gennaio 2013

Missione che sa di Vino





 Commento libero al Vangelo di domenica 20 gennaio - Gv 2,2-11

La Buona Notizia del Vangelo di Giovanni è un lungo viaggio di andata, tra gli uomini, e ritorno, al Padre, da parte del viandante e volto umano di Dio: Gesù di Nazaret. Nella prima parte del percorso, il Libro dei segni (cap.1-12), la comunità di Giovanni presenta alcuni simboli di vita che accompagnano il cammino dell’Uomo di Galilea assieme ad un gruppo di amici.

Il primo, e modello di tutti, è quello delle nozze, il patto d’amore tra Dio e il suo popolo. Alleanza che nel popolo Mbay, in fondo al Ciad, coinvolge interamente le famiglie di origine, capaci ancora, soprattutto nei villaggi, di pilotare e decidere le unioni. Ancora i genitori assegnano le figlie ad un marito che ha già altre spose o ad un giovane che può assicurare la dote: il corrispettivo in denaro della loro “cessione”. Sempre più spesso però giovanissime ragazze, senza adolescenza, si ritrovano con il ventre gonfio dopo una scappatella notturna, fuori da ogni controllo familiare. Famiglie alla deriva, papà inesistenti e una vita segnata per le ragazzine: lavoro nei campi, figli sulla schiena, carichi di acqua, mais, arachidi e legna sulla testa, piccolo commercio al mercato, la mano sul bastone che gira la polenta nel pentolone.

Alle nozze manca quindi l’essenziale: vino, simbolo di amore (Ct 8,2). Quello che non c’è più per il popolo di Israele che ha abbandonato Dio e per i tantissimi ragazzini del Ciad che si trovano a vivere qualcosa più grande di loro. Spesso niente dialogo (anche tra le coppie che provano a vivere assieme!), niente beni in comune (l’uomo detiene tutto e la donna deve fare salti mortali per il cibo e la scuola dei figli), niente pasti insieme (la donna mangia con i bambini quello che avanza dalla polenta e salsa dell’uomo), capanne separate, pochissima fedeltà e relazioni sessuali non di rado forzate.

La madre di Gesù, donna e madre del popolo, coglie il dolore della sua gente, soffre di questa mancanza e invita i servitori a confidare nel Figlio. Prova a farsi discepola e a fidarsi che l’amore può venire solo da Lui. Questo è il grido della terra d’Africa che ha fame e sete di giustizia, pace e riconciliazione dopo secoli di spogliamento, oppressione e schiavitù. Questo è il grido, troppo spesso soffocato dentro, della nostra gente in Ciad, dopo trent’ anni di conflitti, dittatura, corruzione, fame, impoverimento! Dal 2003 il paese è produttore di petrolio che esce dalle vene della terra dei nostri contadini. Spossessati anche delle terre e dell’identità, vivono, più o meno, al livello di sopravvivenza di sempre.

Ma perché manca l’amore? Nella sala delle nozze ci sono le sei giare di pietra per la purificazione dei giudei. Una quantità spropositata di acqua (che non c’è! Le giare sono vuote e inutili) per rendere gli uomini puri e prepararli all’incontro con Dio. Frutto di una religione che mette nella testa della gente che l’amore di Dio va meritato con gesti, impegni, sacrifici. Idee che nascondono un idea di dio fasulla. Quella di un dio che chiede, esige, comanda, punisce. Lontano dal Dio che ha il suo vero volto in Gesù di Nazaret: amore incondizionato e gratuito. E’ Lui che lava i piedi, serve l’uomo, è pazzo dell’umanità (soprattutto di quella ferita al cuore!). Questo è il Dio da annunciare, testimoniare, vivere qui tra gli ultimi del mondo. Dove una tradizione patriarcale fortissima (roba da Antico Testamento!) ostacola la conoscenza del Dio di Gesù. Primeggiano il ruolo dell’uomo e del capo, l’insignificanza dei bambini e delle donne, la stregoneria,  il culto dei sacrifici e rituali della religione tradizionale, il primato della comunità che schiaccia i desideri e creatività del singolo, la gelosia verso chi ha osato fare un passo in avanti nello sviluppo, l’emarginazione dei diversi, l’affogarsi nell’alcool. In questa realtà così sfidante il Vangelo continua a portare con sé più che mai, in direzione ostinata e contraria, un germe rivoluzionario di liberazione: al centro gli esclusi, gli insignificanti, i derelitti della storia. “La malnutrizione dei nostri bambini è una vergogna! Qui a sud abbiamo cibo e acqua. Basta che decidiamo di dare prima da mangiare ai bambini e poi agli adulti che è già rivoluzione!” gridava qualche giorno fa il dottor Patrick di Moissala alla riunione del nostro Comitato Ammalati e Cellula Aids.

La rivoluzione non arriverà certo dall’alto del governo o delle autorità tradizionale e civili. Loro non hanno interesse che le cose cambino. Anzi! Meglio lasciare tutti ignoranti (le scuole in Ciad sono un disastro!), reprimere le contestazioni (hanno messo in carcere sindacalisti e giornalisti, fermato N’Djamena Bi-Hebdo, la principale testata dell’opposizione ed espulso dal paese il vescovo Michele Russo per aver denunciato la mancata distribuzione dei proventi del petrolio!), permettere che l’alcool calmi la rabbia e la disperazione della gente, dare un contentino (asfalto, luce, costruzione di scuole e ospedali, ovviamente senza insegnanti, dottori e infermieri!)

Il vero cambio, il vino alle nozze, frutto della novità evangelica, verrà solo dal basso. Da quegli uomini e donne coraggiosi che, capaci di rompere con alcuni aspetti della tradizione che lega e schiavizza la gente, sentono dentro la sofferenza e il clamore represso del popolo e si mettono in cammino per costruire finalmente il Regno di giustizia, pace e riconciliazione. Gente del calibro di Francois Ngartamadji, responsabile del Centro dei Catechisti di Rakina, ucciso in Ciad nel 1985 dalle truppe del dittatore Hissene Habré, Emmanuel Nerbé e Charlot Koulnan, responsabili dei settori Tuzinde e Jean Baptiste della comunità cristiana di Moissala. Discepoli che hanno gustato il sapore del vino buono e vivono sulla pelle l’amore di Dio che libera. E proprio per questo sono capaci di scendere e rischiare tutto con Gesù di Nazaret per le strade del mondo.

mercoledì 16 gennaio 2013

Nel cielo di N'Djamena





Sfrecciano la sera sul cielo di N’Djamena (la capitale del Ciad) i Mirage francesi diretti in Mali. Per bombardarne il nord nella mani da mesi dei ribelli Tuareg e dein gruppi islamici. Sento sulla testa i rumori di questi inquietanti marchingegni che seminano terrore e morte nel Sahel. Dicono che vanno a combattere i terroristi. Ma i terroristi sono sempre e soltanto gli altri ? O siamo anche noi con le multinazionali che rubano tutto il possibile, i rifiuti tossici esportati, le armi prodotte e vendute in Africa, il riscaldamento climatico provocato in gran parte dai nord del mondo ? E poi sti aerei partono dalla base militare che ancora i francesi hanno in Ciad dopo 50 anni di indipendenza. Ma quale?

La Francia é in testa alla operazioni militari ma anche il Ciad e altri paesi africani hanno inviato soldati per avanzare via terra. Anche l’Italia (che ripudia la guerra ?? art.11 della Costituzione) si vuole unire al gruppo. Apporto logistico? Sempre guerra é. Ennesima pazzia umana. Già lo é la guerra di per sé, in più farla nel deserto.

Intanto più di 150.000 maliani cercano rifugio in altri paesi vicini. In fuga dalla guerra e dalla loro terra. Mentre il vento freddo dell’Harmattan soffia forte nel deserto. In Algeria hanno rapito 41 occidentali come rappresaglia e 2 sono già morti. Non si preannunciano tempi tranquilli per gli stranieri nel Sahel.

La sera prima di dormire guardo in sù, il cielo di N’Djamena. Mi chiedo quando noi uomini e donne di questa umanità impareremo a condividere la terra come fratelli e sorelle. Termino la giornata pensando ad Hassane, un giovane di 19 anni che viene ogni tanto a trovarmi e a conversare in arabo per darmi una mano. Gratis. Fino a quando il muezzin intona la preghiera della sera. Allora mi saluta e dice che deve rientrare a pregare con la famiglia. Lo guardo con ammirazion e un amicizia agli albori.


Forse il dialogo, l’incontro, l’amicizia, la fratellanza sono ancora possibili con i fratelli e sorelle musulmani.


Un nuovo mondo allora é ancora possibile…partendo dal basso. Da Hassane. E dal Dio della vita a cui chiedo ancora e sempre ostinatamente la pace fondata sulla giustizia. Prima di chiudere occhio.

mercoledì 9 gennaio 2013

Yalla ragazzi!




Yalla ragazzi!

Che spettacolo i giovani! Quando ci si mettono sanno ancora stupire il Ciad e il mondo. Pieni di problemi, difficoltà grossissime anche legate alla sopravvivenza propria e delle loro famiglie, si sono riversati a Moundou, la seconda città del Ciad, per celebrare il secondo Forum Nazionale dei Giovani.

Sono arrivati da tutte le parti…i nostri di Moissala, timidi e semplici sembravano secoli indietro rispetti ai giovani dell’Architeguil (la Diocesi forte) della capitale N’Djamena…ma i tempi di Dio sono altra roba.
Incontri, danze, celebrazioni, preghiera. E anche una marcia della pace per le strade della città, mentre i fratelli e sorelle musulmani ci guardavano in silenzio e con rispetto. Canti a non finire, tantissimo entusiasmo. Ma anche la voglia di andare all’incontro col Dio della vita, che libera davvero. Molto bella la giornata del venerdì 28…giorno di silenzio, preghiera e riconciliazione. Dalla mattina alle 8 fino alle sera alle 20 ho ascoltato giovani di ogni parte del Ciad. Qualcuno veniva per riconciliarsi con Dio, altri per condividere dolori e speranze. C’è vita nei nostri giovani e un futuro! Nonostante tutto…

Quanta voglia di ricominciare e rimettersi in piedi. Giovani che si pagano gli studi, qualcuno che lotta controcorrente per cercare di essere un buon cristiano…altri maltrattati dalla famiglia. Alcune ragazze in pianto condividono l’abbandono della famiglia e l’incomprensione di genitori e fratelli.

Poi il dormire assieme negli stanzoni sulle stuoie. Mangiare la polenta con le mani, lavarsi con un secchio d’acqua la mattina presto.

Dal 26 al 30 dicembre ci abbiamo provato. Qui i giovani sono più che mai una scommessa per il presente…il futuro è domani e troppo lusso. Come sempre da ste parti.

Yalla ragazzi! (Andiamo ragazzi). C’è soltanto da cambiare il mondo…