mercoledì 29 agosto 2012

Daniele vive!



Quante volte, nelle singole vicende di ogni giorno, tra tormenti, dolori e speranze, ripenso a Daniele Comboni! Ogni tanto canto la sua “Nigirizia o morte” da solo o sotto l’albero con i bimbi che mi chiedono musica nella mia lingua. Spesso, quanto sono giù di corda, risento dentro il suo richiamo al coraggio: “ Abbiate coraggio per il presente e per il futuro soprattutto!”. Mi provoca la sua fiducia disarmante in quel Dio che non abbandona mai. E che qui in Africa tocchi con mano. Altrimenti fai presto le valigie…

Nei momenti più duri, quando sarebbe facile mandare tutto e tutti a quel paese, mi dà forza rivivere sulla pelle quello che anche lui ha vissuto: “Ho pensato mille volte di mollare tutto. Ma poi tornava sempre in me quel richiamo dell’Africa!”. E nei frangenti più entusiasmanti e carichi mi appassiona ancora e sempre vivere il suo sogno di “Liberare l’Africa con l’Africa”. Accompagnare il cammino del popolo Mbay insieme a due confratelli africani mi fa vibrare dentro quella liberazione che cresce ogni giorno anche per me, nonostante tutto. L’Africa mi sta liberando! Il sogno del Comboni va oltre i confini o sono io che lentamente sto diventando africano?

Non è importante trovare una risposta. Già la domanda fa camminare. E caminando se abre camino (camminando si apre la strada) come mi hanno insegnato in America Latina. Non sono più quello di prima: questi volti e queste storie mi stanno trasformando e io sono felice che il Vangelo e gli impoveriti dell’Africa stiano smontando i miei castelli e le mie strutture. E’ così bello e duro, un po’ come la vita, lasciarsi destrutturare per provare a lasciarsi ricostruire.

Non so dove sto andando e cosa Dio, l’Africa, Daniele Comboni e i poveri stanno costruendo in me. Provo soltanto, (e con terribili resistenze!) ad affidarmi. Che faticaccia riconoscersi diverso, non più lo stesso, forse irriconoscibile anche agli altri…creatura nuova? Magari! Ancora sono lontano, il cammino è lungo. Ma almeno siamo in strada, speriamo al posto giusto. Mai arrivato! La meta è lontana e, se ho imboccato la strada giusta, si chiama libertà, l’essere finalmente me stesso. In vista della meta ultima che è l’amore, non la parola inflazionata e distorta delle ciniche pubblicità e delle telenovele che riconglioniscono. L’Amore che è Dio (1 Gv 4,8) e che è pronto a dare la vita perché tutti l’abbiano in abbondanza (Gv 10,10).

Daniele vive! Ed è  talmente africano che continua a liberare…

venerdì 24 agosto 2012

Il buon musulmano


Mi alzo presto al mattino e medito il Vangelo del giorno. Celebro l’Eucarestia con la gente e corro a Guira,villaggio a pochi chilometri da Moissala. Carico 15 persone della comunità cristiana per lavorare nei campi del nostro centro dei leaders a Silambi. Il fango sulla strada è dappertutto e ad un tratto restiamo bloccati. La macchina rischia di scaravoltarsi. Siamo completamente impantanati. Che facciamo? Ho a bordo un novizio comboniano, Leonard, con malaria grave da portare all’ospedale. Disperare? Mai! Comunque un lusso...

Passa sulla strada Mohamed, musulmano che lavora con l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Va di fretta al lavoro. Ma si ferma e si tira su le maniche. Comincia con il badile a togliere il fango dalle ruote. Poi ci presta la sua batteria perché la nostra è scarica e la macchina si accende solo spingendo. Quindi organizza la gente per spingere e sollevare. Anche lui suda come un matto. Assieme ai quindici ce la mette tutta. Col fango fino alle orecchie riusciamo a saltarci fuori e ripartire.

Mohamed non chiede un soldo e riparte al volo al lavoro. Chiamo al telefono il suo responsabile per spiegargli il suo ritardo e ringraziarlo. Senza di lui non ce l’avremmo fatta. Alcuni della comunità cristiana dicono subito: “Ecco il nostro buon Samaritano”. O meglio, il nostro buon musulmano. Ha visto e si è fermato. Non è passato oltre. Lui che in tempo di Ramadan non mangia niente durante il giorno e dopo uno sforzo tale quali energie lo porteranno a sera? 

Altro che dialogo interreligioso. Questo è un tirarsi su le maniche insieme e aiutarsi a ripartire. Leonard arriva all’ospedale di Bebedja e la speranza aumenta. Al di là di ogni religione o confessione contano l’uomo e i suoi bisogni. Mohamed ce lo ha insegnato e il suo gesto, buona notizia che viene dall’islam, vale la pena di essere raccontato e scritto. Per dire a tutti coloro che non ci credono e che ritengono che con l’islam non ci sia nulla da fare, che una strada è possibile, necessaria e urgente.

Memoria sovversiva


Lettera aperta agli amici del gruppo Mission che sono venuti in Ciad dal 04 al 21 agosto:
 Gigi, Chiara, Fabio, Mary, Nicoletta, Gianni, Umberto

Sorelle, fratelli, Lapia ngay!

Ho sentito vibrare in voi la fame e sete di giustizia, la voglia matta di conoscere e appassionarvi all’Africa, a Gesù di Nazaret e al Vangelo. Avete osato la speranza e mi avete contagiato. Avete lasciato in me e in tanti un carico di gioia, di entusiasmo, di sana inquietudine e voglia di cambiare il mondo. Andiamo avanti su questa strada, quella della Vita!

Anche voi siete stati Buona Notizia per noi, Vangelo vivente. E l’Africa con i suoi volti lo è stata per voi. “Non dimenticate il Ciad” ha tuonato con la sua tenerezza p.Luigi. La memoria sovverte il mondo come quella della cena di Gesù di Nazaret con i suoi, evento centrale della nostra vita che abbiamo celebrato assieme. Le prime comunità cristiane si sono lasciate stravolgere dal Galileo e dal suo progetto rivoluzionario di giustizia e pace. Anche al prezzo del sangue e della vita.

Ora sta a noi percorrere quei passi sulle strade del nostro mondo oggi. Con quella incontenibile passione per la vita, gli impoveriti e scartati della storia per costruire finalmente la fratellanza universale.
Avete oggi meno paura dell’Africa e dei suoi popoli. Avete nelle vene più speranza e carica vitale...la vostra vita non sarà più come prima...non é forse anche questa Resurrezione?

Scaravoltiamo allora insieme Parma, i giovani e l’Italia! Lasciandoci ribaltare dentro e fuori dalla Buona Notizia di Gesù di Nazaret che ci risbatte sempre contro al muro…per ripartire. Il nostro mondo ha bisogno urgentissimo di cambiare rotta per ritrovare l’uomo, qualunque sia la sua provenienza, storia, pelle, religione, idee.

Vi abbraccio e continuo a portarvi con me sulle strade in fondo al Ciad. Avanti insieme!

Sempre,
 vostro fratello e amico,

Filo, Loba Loba

giovedì 23 agosto 2012

Capolavori dell'arrangiarsi




In lingua Mbay si dicono nge ndur. Coloro che si arrangiano. Che si sbattono per qualcosa da mettere sotto i denti. Con i loro mille difetti sono i miei altari, il mio incontro con il Dio della strada. Coloro per cui vale la pena restare qui. I primi della classe di una religione universale che non ha confini, perché mette l’uomo e l’umano al centro. Chi vuole conoscere Dio qui non sbaglia.
Ve ne presento alcuni: ma sono in tantissimi a Moissala.
Lazare fabbrica i mattoni al fiume e ritorna la sera trascinando le gambe. Ora in stagione delle piogge lo trovo al mercato a caricare sabbia.
Ndako lavora il legno e non perde un colpo. Il tuo atelier è aperto da mattina a sera e con due piccoli aiutanti prepara mobiletti, ante di armadi, porte e finestre.
Haroun ha messo in piedi da poco un piccolo spazio dove ripara le gomme delle poche macchine e camion che circolano. Con un piccolo gruppo elettrogeno e compressore fa rapidamente un lavoro che prima costava la fatica indescrivibile di pompare a mano.
Justin salda di tutto. Lo trovi alle prime luci dell’alba al suo posto sempre col sorriso sulle labbra. Non è attaccato ai soldi e con i suoi clienti accetta pagamenti a rate. Uno dei pochi.
Neloumta arriva dai campi con pomodori e insalata da vendere. Tutto il giorno al mercato, seduta ad attendere poche monete che fanno la differenza.
Abel “Douze” ripara le gomme delle biciclette e di tanto in tanto va a vendere frutta e verdura in Centrafrica. SI spara 70 chilometri al giorno pedalando.
Samuel “Koss” seduto sulla sua carrozzina da una vita vende sigarette all’angolo del mercato. Piccoli ricavi ma indispensabili per un piatto d polenta.
Pauline prepara la “Bili Bili”, la bevanda tradizionale a base di miglio fermentato e passa la giornata sotto l’albero con il mestolone per servire i clienti seduti attorno sulle panche.
Rosalie, seduta a terra e paralizzata da una vita vende su un tavolino davanti a casa un po’ di sale, arachidi e fagioli.
Ousmane zoppicando vistosamente corre a destra e sinistra per riparare gruppi elettrogeni e altri macchinari.
Jean, unico meccanico per le macchine, malato di Aids e di alcol, è sempre disponibile per prendere gli attrezzi del mestieri e mettersi in opera.
Inua mi sorride sempre e mi chiama per due chiacchiere in arabo. Attende clienti davanti al suo negozietto di apparecchi elettronici.
Mohammed con una macchina vecchissima e devastata da chilometri, fango e polvere traghetta la gente verso Nord.
Wakoutou e Laurant col badile in mano costruiscono case e muri.
Luisa, Alissa “Mbur pukete”, Jacqueline hanno le mani da contadine, con dita che sembrano salami. A forza di usare la falce e di stracciare le erbacce.
Ognuno con la sua storia. Durissima. Che si arrangia come può. Con quell’incontenibile e folle voglia di andare avanti nonostante tutto. 
Perché la vita davvero vale la pena osarla!