Vegliavano tutta la notte (Lc 2,8)
Rientro a casa dopo due giorni intensissimi nei villaggi per la festa
del raccolto. Incontri, volti, danze, celebrazioni e la gioia di
ringraziare ancora una volta il Dio della vita per il dono della terra
e dei suoi frutti. Sul Toyota 16 sacchi di miglio che la nostra gente
mette in comune per il funzionamento della comunità cristiana. Resta
però il fiume da attraversare. Prendo allora le misure e infilo le
ruote sul ponte del BAC, una specie di traghetto di eredità coloniale.
Il peso ci affonda nella sabbia della riva e rischio di finire nel
fiume. Completamente bloccato, non resta che scaricare i sacchi.
Dakour, il conduttore del BAC, viene ad aiutarmi e con grande
pazienza, sudore e fatica liberiamo il Toyota. Ma per ripartire
all’altra riva dobbiamo ricaricare il miglio rimasto sulla sabbia. Ci
mettiamo sotto e ne riportiamo 5 in salvo. Ma poi non ce la facciamo
più. Scoraggiati e distrutti osserviamo il sole che cade
all’orizzonte. Che fare? Chi potrà aiutarci? Non c’è in giro nessuno.
Il telefono non prende e non riesco ad avvertire gli amici.
Quando tutto sembra impossibile, spuntano gli imprevisti pastori
Mbororo, nomadi dai tratti molto belli che inseguono il bestiame
dappertutto. Dal deserto del Sahara fino in Centrafrica, Nigeria,
Camerun, Congo. Sono giunti al fiume per lasciare che le bestie si
dissetino in attesa di ripartire. Giovanissimi e sorridenti si
avvicinano. Senza dire una parola cominciano a prendere i sacchi che
restano e in un attimo il lavoro è fatto. Non chiedono una lira, si
divertono come matti a salire e scendere dal ponte del BAC. Qualcuno
fa il bagno mentre altri bevono l’acqua del fiume. I bambini hanno
paura e scappano quando cerco di avvicinarmi. Li saluto e li ringrazio
tanto. I miei amici pastori mi hanno tirato fuori dai pasticci. Mi
hanno dato una Buona Notizia con un aiuto concreto e decisivo.
Loro, i disprezzati dagli altri nomadi “peul” come coloro che non si
lavano e vivono alla macchia. Li incontro infatti in foresta nei
luoghi più impensabili, sotto le loro tende improvvisate di rami,
paglia e teloni di plastica. Vivono in simbiosi con il loro bestiame.
Il quale detta il ritmo di vita: mungitura, pascolo e acqua. Sempre a
contatto con la natura ne conoscono i segreti più profondi: piante e
radici per curarsi, le strade nelle foreste, l’odore e il suono degli
animali. Il latte è tutto per loro. E dalla sua vendita nei mercati
che ricavano il necessario per vivere. In un modo molto semplice ed
essenziale. Sempre in cammino. Senza barriere, odiano recinti, legami
e limiti davanti a sé. Amano la libertà e il culto della bellezza. Le
donne si ornano i capelli con collane e monili lungo le curatissime
trecce. Grossi braccialetti e orecchini ricamano braccia, dita,
orecchie e naso. Sul viso, la fronte, le braccia tatuaggi
evidentissimi scolpiscono i lineamenti. Anche gli uomini curano molto
la loro persona e nella stagione secca partecipano in foresta al
concorso di bellezza. Con le donne in giuria. Sfiorati dall’islam gli
Mbororo mantengono la loro religione tradizionale fondata sul culto
degli antenati e la credenza negli spiriti. Nella loro organizzazione
sociale non c’è gerarchia. Il capo del clan dà solo consigli e il suo
potere è basato sull’autorità morale. Sono molto rispettosi dei campi
degli agricoltori. Gli Mbororo non entrano mai, con la mandrie, nei
terreni coltivati.
Il mio Natale quest’anno sono loro. Il Dio che viene a spiazzarmi
ancora e a rialzarmi quando mi sentivo senza speranza. Non lontano
dalla Pasqua: un intreccio di passione, morte e resurrezione. “ Credo
nel Dio crocifisso, non in quello della poesia del presepe ” mi disse
una volta un amico monaco.
Chi se l’aspettava che proprio dei pastori al di fuori di ogni logica
e contesto sociale (non vanno a scuola, non hanno una cittadinanza e
una residenza, non sono iscritti in qualche registro delle nascite,
per lo Stato non esistono!!) venissero spontaneamente a darmi la buona
e concreta notizia che la solidarietà è ancora possibile? Che
l’umanità di farsi incontro a chi è in difficoltà è ancora attuale?
Che la sensibilità verso chi soffre esiste ancora? Che c’è ancora chi
veglia, in questo pazzo mondo che a volte ci sembra andare a rotoli,
nelle notti buie della desolazione, della crisi e dello smarrimento?
C’è ancora un incontenibile speranza che viene dal basso, da coloro
che non contano per nessuno, se non per Dio, e che neppure esistono,
se non nelle ricerche di qualche antropologo. Sono gli ultimi del
mondo che salveranno il pianeta Terra! E ribalteranno i potenti dai
troni…
Ecco il mio Natale! Imprevisto, bello, spontaneo. Dio nasce ancora
laddove i fratelli e sorelle, che non si conoscono, si prendono per
mano. E si rialzano insieme.
Dal traghetto che mi riporta a casa saluto i miei nuovi amici che
alzano le mani assiepati lungo la riva e lanciano urla di gioia.
Grazie fratelli e sorelle Mbororo! Voi che, liberi da tante
sovrastrutture, vegliate sulle sorti dell’umanità ferita. Teniamo
insieme alto il sogno.
Padre della vita, bene-dici e bene-fai al popolo Mbororo
e a tutti i popoli impoveriti della terra
Buon Natale Mbororo a tutti,
p. Filo, Loba Loba
P.S. Da gennaio mi trasferisco in capitale, a N’Djamena, per studiare
l’arabo in vista della prossima destinazione ad Abeché, la città-faro
dell’islam al nord-est del Ciad. La Missione continua…Inshallah!