Mi alzo presto
al mattino e medito il Vangelo del giorno. Celebro l’Eucarestia con la gente e
corro a Guira,villaggio a pochi chilometri da Moissala. Carico 15 persone della
comunità cristiana per lavorare nei campi del nostro centro dei leaders a
Silambi. Il fango sulla strada è dappertutto e ad un tratto restiamo bloccati.
La macchina rischia di scaravoltarsi. Siamo completamente impantanati. Che
facciamo? Ho a bordo un novizio comboniano, Leonard, con malaria grave da
portare all’ospedale. Disperare? Mai! Comunque un lusso...
Passa sulla
strada Mohamed, musulmano che lavora con l’Organizzazione Mondiale della
Sanità. Va di fretta al lavoro. Ma si ferma e si tira su le maniche. Comincia
con il badile a togliere il fango dalle ruote. Poi ci presta la sua batteria
perché la nostra è scarica e la macchina si accende solo spingendo. Quindi
organizza la gente per spingere e sollevare. Anche lui suda come un matto.
Assieme ai quindici ce la mette tutta. Col fango fino alle orecchie riusciamo a
saltarci fuori e ripartire.
Mohamed non chiede
un soldo e riparte al volo al lavoro. Chiamo al telefono il suo responsabile
per spiegargli il suo ritardo e ringraziarlo. Senza di lui non ce l’avremmo
fatta. Alcuni della comunità cristiana dicono subito: “Ecco il nostro buon Samaritano”. O meglio, il nostro buon
musulmano. Ha visto e si è fermato. Non è passato oltre. Lui che in tempo di
Ramadan non mangia niente durante il giorno e dopo uno sforzo tale quali
energie lo porteranno a sera?
Altro che
dialogo interreligioso. Questo è un tirarsi su le maniche insieme e aiutarsi a
ripartire. Leonard arriva all’ospedale di Bebedja e la speranza aumenta. Al di
là di ogni religione o confessione contano l’uomo e i suoi bisogni. Mohamed ce
lo ha insegnato e il suo gesto, buona notizia che viene dall’islam, vale la
pena di essere raccontato e scritto. Per dire a tutti coloro che non ci credono
e che ritengono che con l’islam non ci sia nulla da fare, che una strada è
possibile, necessaria e urgente.
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