Piste per vivere
l’ottobre missionario sui passi di Mc 10,35-45
Se i cinque morti e i 7 sette feriti
della battaglia di Oum Hadjer (dove si trova anche la nostra comunità
cristiana) non mi feriscono il cuore non sono ancora missionario della buona
notizia di Gesù di Nazaret. Il dottor Pascal ha lavorato fino a notte fonda per
cercare di salvarli…
Se la morte della piccola Agnes per
malnutrizione non mi fa ribollere le viscere dentro non sono ancora missionario
del Regno di pace e giustizia.
Se dormo sonni tranquilli quando i
nostri fratelli e sorelle del vicino Burkina Faso vivono ore drammatiche dopo
l’ultimo colpo di Stato non sono ancora un missionario col Vangelo nel cuore.
Se non esulto per la preghiera fatta
insieme questa mattina tra leaders cristiani e musulmani non sono ancora
missionario della gioia.
Se non ci lasciamo ribaltare da Gesù
di Nazaret, dalla buona notizia del suo sogno di giustizia e pace, dagli
impoveriti della terra e dalla storia ferita di questa nostra umanità non c’è
missione di Dio! Ci sarà missione di uomini come a volte chiamano quelle azioni
“umanitarie” con armi e carri armati, magari un avventura, un viaggio, delle
idee, spesso solo di uomini, da trasportare, delle culture da imporre, degli
stili estranei che non fanno breccia nel cuore dei popoli impoveriti che hanno
fame e sete di giustizia! Ma saranno sempre gli altri che devono cambiare e non
noi stessi! Qui o l’Africa ti cambia dentro davvero o vai presto a casa…o la
gente ti entra nel cuore e te ne innamori o non resisti. O provi almeno a
capire senza troppo giudicare culture e abitudini o vivi male e non annunci un
bel niente. Anzi magari trasmetti solo tristezza e delusione…il contrario del
Vangelo! E sei già di-missionario. Quindi meglio andarsene.
Lasciarsi ribaltare è lasciarsi
spiazzare con il coraggio di cambiare noi stessi: stili di vita, relazioni,
parole e gesti, scelte coraggiose che ci avvicinano a quelle di Gesù di
Nazaret. E’ la missione che ti cambia dentro. Come quando ti accorgi che le
persone vengono prima dei programmi, i volti prima delle idee, l’ascolto
profondo prima della decisione, il cercare condivisione e consenso prima
del’orologio, il capire che chi ti circonda è soggetto dell’annuncio della Buona
Notizia di Gesù e non soltanto oggetto. Al passo del popolo e non a quello
dell’efficienza a tutti i costi. Convertirci alla vita piena per tutti e non
convertire qualcuno…a quello semmai ci pensa l’amore e la passione di Dio per
l’umanità. Un Dio che non cerca percentuali di appartenenza ad una religione o
ad un'altra. Ma un Dio che cerca discepoli del Regno: uomini e donne che
camminano sulla terra portando in cuore il sogno della fratellanza universale.
Uomini e donne che si lasciano spiazzare perfino vivendo la propria passione e
morte…fino ad essere creature nuove e risorte! O c’è questo passaggio, questa
Pasqua, o non c’è missione.
E’
questo, mi sembra, il messaggio del Vangelo di Marco per la Giornata
Missionaria Mondiale di quest’anno.
In cammino verso Gerusalemme, il
centro del potere economico, religioso e politico di quel tempo e di quella terra,
Gesù racconta ai suoi amici che la strada verso il sogno del Padre è in salita
e che chi si batte per ribaltare le ingiustizie del mondo va incontro alla
sofferenza, all’incomprensione, alla solitudine e alla morte. Ma è lì il senso
e il gusto di una vita spesa davvero per un mondo migliore. Una vita che non
spende, come chiedono di fare Borse, pil al rialzo, spread e consumi sfrenati,
ma che si spende. Che si consuma. Gesù lo racconta tre volte,
il numero completo, ma i suoi amici sono completamente distanti, non vogliono
capire perché i possibili privilegi e tornaconti del seguirlo accecano i cuori.
E l’ambizione prende il sopravvento. Come nella nostra Chiesa dove, nonostante
Francesco e la sua rivoluzione, si cercano ancora carriere, reputazione, fama,
soldi, privilegi. A tutte le latitudini…
Giacomo
e Giovanni, amici pescatori della prima ora, ci provano: posti di potere e
salari garantiti. In tanti fanno così in Ciad quando conoscono qualcuno ai
vertici e magari fanno parte della stessa etnia. Anche nella Chiesa di Gesù. Corruzione
e legami familiari non sani corrodono il tessuto sociale ed ecclesiale.
Lasciando sempre ai margini gli impoveriti al di sotto della soglia di povertà;
oltre il 70% in un paese produttore di petrolio!
Nel
loro incontro con Gesù non ascoltano e vanno solo al loro interesse: non gli
frega niente se chi seguono farà una brutta fine, basta che loro siano
piazzati. Invece di lasciarsi spiazzare.
A quel punto, quando avranno ottenuto il posto richiesto, l’onore e il
compenso, lo molleranno. Questa non è preghiera! Preghiera è l’incontro
profondo con il radicalmente Altro, il Padre-Madre di tutti che ci chiede di
ascoltare e poi di fare la sua volontà, non la nostra. Una volontà non da
tiranno, ma quella che coincide con la nostra felicità (Sal ). Quante preghiere
inutili che Dio non ascolta! Lo dico spesso alla nostra gente. Dio ascolta il
grido di chi si affida nella prova, di chi si abbandona davvero e non di chi
chiede per sé senza poter poi vivere quel battesimo di Gesù, l’immersione nella
vita della gente e del suo popolo fino a
lasciarsi consumare e mangiare dalla gente. Non siamo missionari senza la
passione dell’incarnazione nella vita, morte, lotta, speranza del popolo in
mezzo al quale viviamo. Non siamo missionari se ci accomodiamo in uno stile di
vita borghese, troppo distante dalla gente, seduti su privilegi ingiustificati
senza sentire l’odore delle pecore e il sangue che scorre nelle vene aperte del
popolo. Possiamo essere magari buone persone con buoni intenti ma non ancora
veri missionari di Dio e del Vangelo. Quanta strada resta da fare!
Serve
un cambio radicale di mentalità: fare esodo da noi stessi per mettere al centro
Dio che chiede di essere servito nei fratelli e sorelle più poveri e
abbandonati. Un programma preciso di vita, la vera missione: “Uscire da noi stessi” diceva Helder
Camara. Per metterci a servizio e non per farci servire.
Mi vien male quando la nostra gente
ci prepara la sedia migliore, il pasto migliore, ci porta il sakan (catino) per
lavarci le mani prima di mangiare. Ho provato a fare una scelta ma mi trovo
ancora a lottare contro i privilegi che mi accomodano. Ma se la mia mentalità
non cambia e non servo 24 su 24 non sono ancora un missionario. Se metto degli
orari di ricevimento e mi nego alla gente perché devo riposare non sono ancora
missionario. Se non do la vita ogni giorno nel quotidiano accanto a questo
popolo che lotta e che spera non sono ancora missionario. Se chiudo la porta a
Anaclet che mi chiede alle 3 di mattina di portarlo in ospedale perché sua
moglie deve partorire non sono ancora missionario. Se prometto a Wilfrid di
andare a trovarlo in prigione perché è disperato e vuole parlarmi e poi non ci
vado non sono ancora missionario.
E’ soltanto dando che si riceve,
dando la vita che la si ritrova in pienezza…questo è il segreto del Vangelo che
chiede di essere vissuto. Perché finché ne parliamo ma non lo viviamo non lo
capiamo e non ne gustiamo i frutti. Più ci lasciamo mangiare dalla gente e più
diventiamo noi eucarestia, pane spezzato per gli altri, più la vita rifiorisce
nelle vene della nostra storia. Più si ama e si rischia per Gesù di Nazaret e
per il Vangelo più si assapora una vita così intensa piena e bella che non può
finire e che non finisce. E già per sempre…
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