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Vangelo di domenica 18 agosto
Lc 12, 49-53
Gesù di
Nazaret cammina dritto e deciso su Gerusalemme perché sa bene che il cuore di
quel sistema ingiusto che affama e impoverisce la sua gente si trova là. Sulla
strada condivide con i suoi amici quanto gli ribolle dentro. Un fuoco che non si tiene, carico di passione per il popolo e di
incontenibile voglia di cambiare il mondo. Che non si consuma, come il roveto
ardente di Mosé (Es 3). Non quello che distrugge, come chiedono Giacomo e
Giovanni per chi non segue il Maestro (Lc 9,54). Ma il fuoco dello Spirito che porta e alimenta vita. Come quello che si accende
la sera nei villaggi in fondo al Ciad, all’inizio della stagione secca, per
scaldare corpi e tenere lontani bestie selvatiche e serpenti. Per ritrovarlo al
mattino al centro di un grappolo di persone che si stringono in attesa dei
primi raggi caldi del sole. Ma anche il fuoco che scalda l’acqua per la polenta
(di miglio e di sorgo, che in Italia si danno spesso e volentieri agli
uccellini e ai maiali!) e per il the e i cuori di coloro che attendono l’unico
pasto del giorno!
Quel fuoco Gesù
vuole gettarlo sulla terra, non vede l’ora che contagi tutti! E’ venuto per
quello, perché tutti abbiano vita abbondante (Gv 10,10). Perché ognuno possa
lasciarsi bruciare dentro, come i due di Emmaus (Lc 24,32) dalla Parola di vita
e da quel profondo desiderio di spezzare la nostra vita per qualcosa per cui
vale la pena vivere e anche morire! Come amava ripetere Martin Luther King. Per
questo Gesù parla della sua immersione, il battesimo
di fuoco, quello della sua passione, morte e resurrezione. Missione è lasciarsi
immergere nell’amore così forte di Dio che è capace di pagare il prezzo più
alto. Lasciarsi immergere nella vita del popolo con la sua lingua, cultura,
tradizioni, cibi, modi di accompagnare i momenti importanti della vita. Non per
assimilare tutto, ma per permettere di passare ogni aspetto della vita al
vaglio del Vangelo. Per annunciare quanto fa crescere gli uomini e le donne e
denunciare quanto li fa regredire. Andando sempre e comunque oltre! Oltre le
religioni, le tradizioni, le convenienze, i colori della pelle, i soldi in
tasca. Per cercare di diventare finalmente fratelli. Anche con i musulmani che
incontro in capitale, N’Djamena, e sulle strade, ora fangose, del Ciad.
L’ultima sera prima di rientrare in Italia mi hanno fatto festa e abbiamo
mangiato insieme falene (una specie di farfalloni) fritte! Un modo per
condividere amicizia e sogni. E andare oltre pregiudizi e barriere.
Quel fuoco che
brucia e quell’immersione che butta dentro, senza paura, nel diverso non sono
certo fatti per farci restare tranquilli e in pace. Un missionario porta sempre
in cuore sane inquietudini, per dirla alla Tonino Bello, finché sulla terra ci
sono ingiustizie e diseguaglianze. Missione è non sedersi mai, mai comodi, perché
il fuoco brucia dentro e non puoi spegnerlo. Parola del profeta Geremia! (Ger
20,9). Anche Gesù era inquieto! Non stava certo tranquillo e in pace con l’aria
che tirava nella sua terra. Uomo di pace, non in pace. Scomodo e segno di
contraddizione! (Lc 2, 34). Capace di portare l’inevitabile divisione tra chi vuole andare avanti con il vecchio e lo
status quo (il padre, la madre, la suocera) di un sistema che affama 870
milioni di persone nel mondo e chi vuole invece ribaltare le cose e osare il
nuovo (il figlio, la figlia, la nuora) quanto mai urgente. Tra chi si affida
alle certezze della legge a servizio dei potenti e chi prova a vivere il
Vangelo della rivoluzione a servizio degli ultimi. Tra chi in Ciad si nasconde
e si rifugia nelle certezze delle tradizioni secolari che dettano cosa e come
fare nei vari frangenti della vita e chi prova la libertà di Gesù di Nazaret e
del suo progetto delle Beatitudini. Il bivio tra la schiavitù dell’Egitto e la
libertà della Terra Promessa. Tra il marcire dentro la comodità, il privilegio
e la “globalizzazione dell’indifferenza” (che anche percorrono, come forti
tentazioni, le nostre povere comunità cristiane in Ciad) e il lanciarsi fuori,
sull’onda della missione senza frontiere, il rischiare tutto a costo di perdere
tutto. Per tutto ritrovare.
Come ci diceva
anni fa a Taizé quell’amico e profeta di
Frère Roger:
“Meglio
buttarsi nell’imprevedibile di Dio che rifugiarsi nelle certezze degli uomini!”.
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