Ricevo da padre Andrea, carissimo amico e fratello saveriano in Mozambico, e pubblico con gioia
Dondo, 21 luglio 2013
Tempo presente 1. Tempo di calendario e tempo vissuto
C’è
il tempo del calendario e c’è il tempo della vita. Può accadere che i
due non coincidano proprio esattamente: sono passati pochi mesi di
calendario, ma non so quanti di vita. Vertigini da verticalità di tempo
vissuto. O, forse, vertigini da tempo africano. Da fine settembre mi
sposterò nel villaggio di Chemba, cinquecento chilometri a nord-ovest di
Dondo. Chemba, che si pronuncia con “ce” di “c’era una volta”. Chemba:
riva destra del grande fiume Zambesi, nella pura, secca e povera savana
africana. Chemba, che significa: oltre a Chemba, altre ottanta comunità
sparse in altrettanti villaggi di capanne. Più una scuola. Il lavoro
pare non manchi: dovremmo essere in tre. A Chemba si parla pressoché
solo il cisena. Per questo, qualche settimana fa ho cominciato lo studio
della grammatica. Il mio professore si chiama Fernando ed è un
missionario spagnolo felicemente in Mozambico dal 1964. Quasi una vita.
Fernando è spirito schietto dal sorriso largo che si stringe quando fuma
la sua sigaretta dopo pranzo. Ha visto nascere questo paese, lo ha
visto combattere durante la lotta di indipendenza, lo ha visto grondare
sangue nei sedici anni di guerra civile. Ama questo popolo come una
madre che ha visto nascere suo figlio.
Tempo presente 2. Tempo schiacciato sul presente
D’improvviso ci si sveglia bambini
sillabando parole dal suono nuovo e dal sapore un po’ bucolico: qui non
si sopravvive senza sapere che mbuzi è capra, nkhuku è gallina, dzongwe è gallo, mpunga
è riso. Memorabile la prima lezione: «La bambina è venuta con una
capra? No, la bambina è venuta con due capre». Ci si sente ulteriormente
ospiti, perché una lingua non è né un dettaglio, né un souvenir. È il
sentiero sacro irrinunciabile per chi mette i suoi passi in direzione di
una cultura altra, chiedendo il permesso di entrare. Cultura è vastità
esistenziale, è spazio rarefatto e, al tempo stesso, così nettamente
percettibile. Cultura sono le radici di un popolo, sono le impronte
delle generazioni passate. Cultura è il modo con cui un popolo entra il
relazione con il mondo: cammino senza fine che comincia con il dare il
nome alle cose.
Il
cisena è una lingua africana bantu. Contrariamente alle lingue europee,
le lingue bantu formano le parole aggiungendo o modificando il prefisso
della radice. Non la desinenza, quindi. Semplice a dirsi, meno a farsi.
Così se albero è muti, alberi è miti. Se mano è dzanja, mani è manja.
Questo vale per il singolare e il plurale dei sostantivi, per i
complementi, per il tempo e per il modo dei verbi. Per le lingue
europee, la difficoltà sta alla fine della parola. Per le lingue
africane bantu la difficoltà sta all’inizio: formulate le prime lettere,
il resto della parola scivola via. Le parole sono montagne. Quelle
europee sono salite, quelle bantu sono discese.
Nella
lingua cisena, il tempo passato non è proprio un passato, ma un passato
che indica una azione cominciata nel presente. Il tempo futuro non è
proprio un futuro, ma un presente con una certa proiezione per un futuro
immediato. Mentre il presente è un presente continuo, che indica una
azione che si compie abitualmente. Insomma, il tempo passato e il tempo
futuro si danno sempre in relazione con il tempo presente e il tempo
presente, a sua volta, è un presente in atto. Il tempo cisena è un tempo
schiacciato sul presente. E anche il mio tempo, di questi tempi – con
Fabio che è in Italia per vacanze e capitolo dei Saveriani e qui si è
rimasti in due con una parrocchia di 75.000 abitanti e di 24 comunità,
la più distante delle quali si trova a tre ore di jeep quando non piove -
è piuttosto schiacciato sul presente.
Tempo presente 3. Tempo violento
Alle
4 del mattino di lunedì 17 giugno, uomini armati attaccano un deposito
militare a Savane, uccidendo sette militari. Savane è un villaggio che
rientra territorialmente sotto la nostra parrocchia, a 30 chilometri da
Dondo. Lì abbiamo due comunità: são Zacarias e são Quisito. Il governo
accusa gli ex ribelli della Renamo, che però smentiscono. La polizia
afferma che non sussistono elementi sufficienti per individuare i
responsabili. Nei giorni successivi un autobus è attaccato e dato alle
fiamme sulla strada nazionale n°1 a 150 chilometri da Dondo e quattro
civili sono uccisi. Stavolta la Renamo rivendica. Dopo sedici anni di
guerra civile che ha mietuto più di un milione di vite umane e dopo
ventuno anni di pace, le relazioni tra il governo della Frelimo e gli ex
ribelli della Renamo sono estremamente tese. Il 20 novembre ci saranno
le elezioni amministrative e l’anno prossimo le presidenziali. La posta
in gioco è alta. Qualche analista politico fuori dal coro parla di un
accordo tacito tra i due ex nemici per spartirsi il potere e di una
strategia della tensione volutamente creata. E quando c’è tensione, chi
ne trae beneficio è chi il potere già lo detiene.
Per
causa dei fatti di Savane, per tre giorni abbiamo qui a Dondo metà
esercito mozambicano e metà stampa nazionale. Con Chique, aspettiamo il
venerdì per visitare la zona. L’area è fortemente militarizzata e la
gente ha paura, tanto da non andare neppure in campagna, nonostante sia
il tempo di raccolta della manioca. Per il sabato successivo decidiamo
una Eucaristia per la pace. Torno così a Savane assieme ad un gruppo di
ragazzi e ad un catechista che traduce dal portoghese al cisena. La
chiesetta di são Quisito è gremita di gente che si è fatta chilometri
dalla campagna circostante per potere pregare. Nell’omelia diciamo che
pace non è solo assenza di guerra, che pace non è solo frutto di
rispetto e dialogo. Ci chiediamo: «Può esserci pace se c’è ingiustizia e
se la disuguaglianza sociale aumenta? Può esserci pace se il treno che
passa qui davanti quattro volte al giorno porta via tonnellate di
carbone minerale e qui le famiglie fanno la fame?». Alcune nonne anziane
prorompono nel grido del ndhungulo, massima espressione di
gioia, riservata ai matrimoni e alle grandi feste. Proseguiamo: «Può
esserci pace se c’è corruzione? Può esserci pace se i politici hanno le
tasche e le pance sempre più gonfie? Può esserci pace se per iscriversi a
scuola o per passare un esame i nostri ragazzi provenienti da famiglie
povere devono pagare sottobanco i professori e le ragazze devono spesso
vendere il proprio corpo?». Di nuovo, le nonne prorompono nel ndhungulo e tutti battono le mani. Diciamo che «tendere ndi basa yatu»:
la pace è nostro lavoro. La pace dipende da noi, perché è il frutto del
nostro impegno per lasciare questo paese un po’ migliore. Scrivo sul
diario: «Pregare è grido collettivo di ciò che si ha paura di
bisbigliare da soli. Pregare è liberarsi ed essere liberati. Pregare è
lottare. Pregare è risorgere. Pregare è legare cielo e terra. Pregare è
riconoscere che, in questa esplosione della vita sulla morte, non si è
né soli, né abbandonati. Pregare è credere fermamente che, in questo
cammino per la giustizia verso la pace, si è presi per mano. Sì, si è
presi per mano».
Tempo presente 4. Quotidianità e tempo di resistenza
C’è, infine, il tempo presente che è
la quotidianità di ogni giorno, dove allegria e sofferenza, miseria e
potenza della vita sono così mirabilmente impastate assieme. La gioia
del signor Jorge, che chiede il battesimo a 92 anni. Il matrimonio tra
il signor Raulo e la signora Leonora, che scelgono di sposarsi dopo una
vita insieme e dopo dodici figli. La festa dei cinque anni di scout a
Dondo, con il mitico gioco dello scout-ball che, dopo essere stato
riesumato dalla memoria, per la prima volta in assoluto, è arrivato in
Mozambico. L’Eucaristia in carcere, con i detenuti che rappresentano la
parabola del buon samaritano e nessuno vuole fare la parte dei briganti.
La gratitudine di famiglie povere e di vedove che, grazie alle generose
offerte di molti amici dall’Italia, in questi mesi in cui non piove,
sono aiutate a rimettere in sesto il tetto della propria casa.
La
quotidianità di questo tempo presente è più che mai resistenza.
Resistenza in difesa di Mandruze, dei tremila ettari di terra benedetti
dal sole, dall’acqua e dal lavoro di migliaia di mani e di zappe, che
una grande impresa cinese, in tacito connubio con le autorità locali e
senza previa consultazione pubblica, vuole strappare alla popolazione di
Dondo. Resistenza, «perché Mandruze è riso, riso è cibo e cibo è vita. E
toglierci Mandruze significa ucciderci». È diventato uno slogan assieme
a «Levarci Mandruze è contro il Vangelo e contro la legge». È vero. Il
Mozambico nel 1997 si è regalato una bellissima e democratica Legge
della Terra che tutela i piccoli agricoltori a conduzione famigliare
contro i grandi possidenti terrieri. Il mese scorso, abbiamo organizzato
una giornata di formazione sulla Legge della Terra, con l’aiuto della
Commissione diocesana di Giustizia e Pace che l’ha tradotta in cisena.
Così, se fino a tre mesi fa Mandruze era argomento tabù e la gente aveva
quasi paura a parlarne, ora se ne discute con il sorriso sulla bocca e
la convinzione che «Mandruze è nostra e nessuno può levarcela».
Nell’offertorio dell’Eucaristia, ogni domenica, la gente dice grazie,
regalandoci chili e chili di riso. Per paura di perdere le elezioni
amministrative del 20 novembre, è interesse del Municipio e della
Provincia che non si parli di Mandruze. Così il 25 di giugno,
anniversario dell’indipendenza del Mozambico, per la prima volta negli
ultimi anni, la chiesa cattolica non è stata invitata alla
manifestazione pubblica che si tiene tradizionalmente nella piazza di
Dondo. In questi giorni stiamo lavorando - a fatica - alla costruzione
di una piattaforma che unisca le diverse chiese. Mentre la società
civile, intesa come pluralità di soggetti collettivi, liberi ed autonomi
di fronte allo stato e al mercato, di fatto, non esiste. O la si sta
costruendo.
Conclusione. Tempo presente del verbo vivere
Tempo presente del verbo vivere, prima
persona singolare. In italiano sarebbe: «io vivo». In cisena non esiste
il verbo «vivere», esiste solo il sostantivo «vita» che è «moyo». Pertanto si dice: «Ndisakhala na moyo».
Che letteralmente sarebbe: «Sto nella vita». Sì, sto nella vita,
profondamente grato di esserci. Sto nella vita: in questa terra, assieme
a questo popolo, nell'anno trentaquattresimo... di questa vita.
Um abraço!
Um abraço!
Andrea
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