venerdì 1 agosto 2014

Il lievito del Vangelo...





Sono piccolo segni di un Dio che non abbandona…sale della terra dell’est del Ciad e luce di un mondo abbandonato, che non interessa quasi a nessuno…

Si chiamano:

·         Iriba, dove sabato abbiamo celebrato (con don Benoit amico e prete italiano) quattro battesimi, un matrimonio e una cresima…nella preparazione la visita al campo dei rifugiati del Darfur, l’incontro con il sultano di Dar Zagawa, la preparazione della coppia che si sposava, l’incontro con Ndiko unico medico dell’ospedale sempre così accogliente…certo affogato nell’alcool ma una certezza per la gente (i bicchieri scaravoltati sembrano qui caratterizzare particolarmente i dottori..che certo ne vedono di tutti i colori). Poi la festa con la gente, le danze…

·         Am Zoer, dove abbiamo incontrato i cristiani, cattolici e protestanti che stanno formando una nuova comunità cristiana insieme..segni di un ecumenismo già nei fatti, alla faccia dei documenti, ipotesi, dei forse sì ma….abbiamo promesso di tornare presto e di celebrare insieme. Ho proposto al pastore Osée, grande amico e fratello, di andare insieme..vedremo

·         Tiné, dove una piccola comunità cristiana resiste..da sei anni non vedevano un prete e non sembra loro vero di vederci 3 volte in 6 mesi! Vedessi la gioia, l’organizzazione…potevo solo in settimana e hanno fermato il lavoro per le celebrazioni! Poi l’accoglienza da Papà Doumbai un vecchio doganiere e fondatore della comunità cristiana..sposato con Alluhme, musulmana e con i figli liberi di seguire Gesù di Nazareh o Mohammad…è là che incontriamo Israel, bambino pastore, rapito in capitale, picchiato e torturato, venduto dalla madre (per disperazione!..che miserie..)e poi scappato dai suoi aguzzini, la notte..quattro giorni a piedi per arrivare da papà Doumbai…lo prendiamo con noi e dopo 10 giorni a casa nostra ad Abeche lo accompagnamo a N’Djamena e lo consegniamo alla LTDH, la Lega ciadiana per i diritti umani…annunciato alla radio lo zio ha sentito e si è fatto vivo per riprenderlo con sé

·         Farchana, dove una piccola-grande comunità ci fa festa..per la prima volta celebravano dei battesimi..messa di tre ore con canti e danze che non finiscono…poi tutti sotto al grande albero per mangiare assieme

·         Amloyna, dove un’altra comunità mista, cattolici e protestanti insieme, avanza. E’ domenica sera e per la messa attendiamo un po’ ma poi arrivano in 40 e celebriamo la vita

·         Kalayt, in pieno deserto dove ci recheremo questo fine settimana…sofforno terribilmente per l’acqua che non c’è e la poca che si trova è infetta. Quasi tutta la popolazione ha il tifo…stiamo studiando cosa fare per venire loro incontro

·         Fada, ancora più a nord, tra la sabbia e le rocce una bellissima cappellina accoglie una comunità di 80-100 persone che pregano e lottano…ora stiamo organizzando la Biblioteca, la più a nord del Ciad! Evangelizzazione e promozione umana ancora si prendono per mano..la Buona Notizia non ha confini e qui si sposa anche con cultura, libri, istruzione..insomma voglia di superarsi…

                Ce ne sono ancora tante altre, che lottano, resistono, amano, sperano…tutte fondate dai laici!
                Testimonianza viva di Gesù risorto nel deserto, del liveito che fermenta nella pasta, del tesoro nsacosto nel campo, di un Vangelo senza confini…

venerdì 23 maggio 2014

Sognando Guereda!




La piccola comunità cristiana di Guereda nasce nel 2005 quando un primo gruppo di cristiani del sud arriva in soccorso dei profughi che scappano dalla guerra del Darfur. Papà Djibrine e Mama Denise, i veri pilastri, fondano la comunità “Saint Michel et Joseph di GUereda” assieme ad una decina tra cattolici e protestanti. Lui da giovane era musulmano e all’età di 30 anni l’incontro con Gesù di Nazaret e col Vangelo gli cambia la vita. Agli inizi pregano insieme in grande spirito ecumenico uniti dalla fiducia in Gesù di Nazaret. Non avendo possibilità finanziarie si incontrano in un aula della scuola elementare che diventa la prima “cappella”. 

                Col passare del tempo cercano un terreno per costruire un hangar(capannone) e qui cominciano i guai: la popolazione locale interamente musulmana non è abituata ad altre presenze religiose e cerca in tutti i modi di impedire ogni costruzione. Ottengono un primo terreno ma sarà loro negato il permesso di costruire. Non si danno per vinti e ottengono un secondo terreno ma è troppo vicino al cimitero musulmano e niente da fare. Il sultano di Dar Tama, con sede a Guereda, si oppone con tutte le sue forze.

                La comunità cristiana non si arrende e chiedono ospitalità all’ong JRS, il Servizio dei Gesuiti ai rifugiati. Costruiscono un hangar nella sede dell’ong e per cinque anni si ritrovano lì per pregare e per organizzare la comunità. Nel frattempo si separano dai fratelli e sorelle protestanti: troppo diversi il modo di pregare e di intendere la vita cristiana. La divisione è indolore e le relazioni restano buonissime al punto che celebrano ancora insieme le grandi feste.

                Col passare del tempo arriva il momento di realizzare il sogno: acquistano un terreno a nord del villaggio di Guereda e chiedono aiuto per costruire una cappella. La Caritas di Parma risponde all’appello e grazie ad un lascito di Emma Bandini di Sissa, Parma, si possono cominciare i lavori. Contribueranno anche tantissimi amici di Parma e di tutta Italia. Nel frattempo la comunità cristiana “Saint Michel e Joseph” di Guereda si impegna a costruire due sale per la biblioteca e per l’alfabetizzazione. Due servizi preziosissimi per tutta la popolazione del villaggio e dei dintorni. I lavori intanto sono appena cominciati.

                Domenica 18 maggio alla presenza del Vescovo Henry Coudray, delle autorità civile e religiose abbiamo celebrato le benedizione della cappella. Il pastore protestante e tanti fratelli e sorelle della sua comunità erano presenti. Anche alcuni musulmani non si sono persi l’evento: a loro il Vescovo ha rivolto parole di speranza e di dialogo vero. Citando il Corano Coudray ha invitato cristiani e musulmani a gareggiare nelle buone opere e ha ribadito che qualunque fede vissuta con sincerità, convinzione e autenticità aiuta le altre ad essere vissute con le stesse caratteristiche.

                Durante la Messa abbiamo avuto la gioia di celebrare un battesimo, un matrimonio e sei cresime. Per ritrovarci poi a tavola con riso e agnello per tutti. In serata un grande concerto con le corali delle due comunità cristiane, cattolici e protestanti, di Guereda.

                Il cammino è ancora lungo e in salita. Certo un passo importante è stato fatto ma restano da costuire le “pietre vive” cioè formare i cristiani e far loro gustare la bellezza della Parola di Dio che cambia la vita. Non a caso la prima lettura di domenica scorsa ci parlava della “Parola che guadagna terreno”(At 6,7). L’unico modo per costruire vite e sogni indistruttibili. I veri tesori che “né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassinano e non rubano” (Mt 6,20)

giovedì 3 aprile 2014

Acqua, piedi e follia







Il “gesto che cambia il mondo”
 al nord-est del Ciad



Amir, amico e giovane artista musulmano ha appena finito di dipingere nella nostra piccola cappellina di Abéché la lavanda dei piedi, il gesto rivoluzionario di Gesù con i suoi amici, nel momento decisivo. I tratti di Gesù e di Pietro sono quelli della gente qui al nord-est del Ciad…scuri ma non troppo, semmai arabeggianti. Sul tavolo una “calebasse”, una tazza ricavata da una pianta tipica che ogni ciadiano utilizza per mangiare la boule (polenta tipica) e bere la “bili” la bevanda tradizionale a base di miglio fermentato. I vestiti anche riflettono quelli che incontri per strada. Un tentativo di immergere il “gesto della follia di Gesù” dentro la cultura del posto.

            Lavare i piedi a qualcuno non è mai scontato, soprattutto se chi lo fa è uno che é considerato maestro, un tipo importante. Qui al massimo lo fanno le mamme con i figli piccoli o le bambine con i fratellini. Ma non si è mai visto un autorità lavare i piedi a qualcuno. Anzi, sarebbe un umiliazione, un abbassarsi, un perdere onore e reputazione sociale. Infatti ai tempi di Gesù era il gesto dello schiavo verso il padrone.

            Per farlo allora, se si è davvero liberi e liberi per amare fino in fondo (Gv 13,1), oltre al coraggio e ad un amore folle capace di perdere onore e reputazione per i fratelli ci vogliono:
·         Acqua: qui nel deserto è davvero duro trovarla e gestirla. Nei villaggi la gente va nei fiumiciattoli da tempo secchi, gli wadi, scava e trova l’acqua che viene caricata sugli instancabili asinelli, chiamati, non a caso, “wazir al nagil”, il ministro dei trasporti. Quanta strada si fanno, carichi come loro stessi (come asini!), e in più trasportando anche le donne o le ragazzine che cavalcano incrociando le gambe in modo da dare la direzione con piccoli colpi di piede sulle guancie della povera bestia.
           
L’”oro blu” viene centellinato per cucinare, bere, lavarsi. Costa e non va assolutamente sprecata! Quando sento che in Italia si consumano in media 6.000 litri al giorno mi viene la pelle d’oca…e quasi da piangere perché tanto la gente se ne frega di come viviamo qui! Ad Abéché centro siamo rimasti una settimana senza…i “pousse-pousse”, cioè i carretti che vendono l’acqua erano passati dai soliti 750 franchi (1,10 euro) a 2.500! Un aumento di più del 200%! E con temperature sui 44-45% come in sti giorni senz’acqua davvero la vita diventa impossibile! Ci si lava con i secchi, si ricicla per lavare gli abiti, si va a prenderla al mercato…si fa come si può. Ma si soffre. Come a Kalayt, 200 Km a nord di Abéché, dove quasi tutta la popolazione soffre di tifo proprio per le condizioni dell’acqua. Anche questa è passione, quella del “popolo del deserto”, che vive sulla pelle condizioni ardue e in un ambiente sfidante dove caldo, siccità e le guerre-ribellioni del passato segnano la vita. Anche in carcere manca l’acqua e Service et Nadji, i responsabili della comunità cristiana, ci chiedono di rivolgerci alle autorità: hanno sete, ma anche cercano medicinali, libri da leggere, un avvocato per chi non ha nulla.

·        Piedi: Sono quelli che più sporchi non si può dei bambini-pastori, spesso provenienti dal sud. Accompagnano pecore, mucche e cammelli lungo tutto il paese alla ricerca dell’acqua. Abbandonati a sé stessi diventano veri e propri schiavi dei loro padroni. Vengono pagati 6-8 euro alle famiglie di origine e spesso non ritornano più a casa. Anche questa è passione, quella del “popolo dei piccoli pastori”. Uno di loro, Alain, è morto nel deserto, di fame e di stenti. Poco prima ha chiesto il battesimo e le sorella di Iriba, Teo, ha provveduto a “immergerlo” nell’amore del Padre.

            Sono quelli luridi delle piccole ragazze dei campi profughi di Farchana che vanno al pozzo a cercare acqua. Insieme ridiamo e scherziamo in arabo e le aiutiamo a caricare i bidoni sugli asini. Sono tantissimi ancora i profughi del Darfur nella nostra immensa parrocchia che va dal Centrafrica alla Libia! Sono arrivati nel 2004 a seguito della terribile guerra del potere centrale di Karthoum contro i ribelli del Darfur. Ci sediamo con loro, parliamo, ascoltiamo…non hanno solo bisogno dei programmi delle ong e del sostegno dell’Alto Commissiariato delle Nazioni Unite per i profughi (UNHCR). Ma di qualcuno che ascolti, condivida un pasto e un bicchiere di bevanda tipica sudanese…anche la loro è passione-calvario. Quella del “popolo dei rifugiati”. Mentre scrivo arriva la notizia che paramilitari hanno dato alle fiamme più di cento villaggi nell’area del Sud-Darfur. La passione continua…ma la condivisione, l’ascolto, lo scherzare insieme sono già piccoli segni e fermenti di resurrezione.

            Sono quelli puzzolenti dei muhajjirin, i ragazzini di strada che con i loro pentolini vagabondano tutto il santo giorno per chiedere quell’elemosina che finirà nelle tasche del loro marabut, il maestro della scuola coranica. I quali approfittano, e non pochi, dei piccoli indifesi e dei loro chilometri. Anni fa furono scoperti casi di violenza e “catene ai piedi” di questi piccoli, diventati veri e propri schiavi! Anche questa è passione, quella dei “piccoli allievi musulmani”.

            Sono quelli callosi di Osmane, che incontriamo sulla strada e ci accompagna a Wara, l’antica capitale del Ouaddai, la nostra regione. Restiamo con la macchina bloccati nella sabbia e lui si fa in quattro per spingere, togliere la sabbia, mettere pietre sotto le ruote. Poi, al ritorno, ci invita a casa sua e ci serve latte di cammello e kissar, un tipico e delizioso piatto arabo delle nostre parti. Ousmane ha mani e piedi segnati dal sole e dal duro lavoro dei campi e dei chilometri al seguito delle mandrie. Anche questa è passione degli “uomini e donne di questa terra”, dove miglio e arachidi fanno fatica a crescere con poca acqua. Ma dove senti “profumo di resurrezione” nell’accoglienza calorosa: seduti sulla stuoia gustiamo latte e kissar, parliamo in arabo della loro vita. Visitare qualcuno, sedersi sulla sua stuoia e accogliere quello che danno è segno che si dà importanza all’invito e alle persone. Mai rifiutare! E quando partiamo ci invita a tornare un giorno…già l’amicizia è in corso…
Servono queste relazioni tra cristiani e musulmani in questa terra, dove prima delle religioni si incontrano le persone, i volti, le storie. Simpatie, accoglienza, il gusto dello stare assieme tra diversi sorpassano, e di gran lunga, teologie, dogmi, “dialoghi interreligiosi”, conferenze e dibattiti…

·        Amore folle: è quello indispensabile di Gesù e di coloro che provano a seguirlo “ai confini del mondo”. E’ quello necessario di ribaltare i ruoli per servire, lavare, amare. Perché amare è ribaltare schemi, tradizioni, usanze e anche aspetti delle culture che non possono capire come il “grande” serva il “piccolo”. Non entra nella testa di tanti…ma nei cuori fa breccia! In quelli dei piccoli Kemkogui, i nostri bambini della Comunità cristiana di Abéché, che hanno fatto quel gesto durante il ritiro di quaresima. A lavare non avevano problemi: sono abituati a servire, perché i piccoli qui devono obbedire, andare al mercato, prendere la legna, l’acqua, portare un messaggio. Ma al momento di lasciarsi lavare tutti erano in imbarazzo…”Ti ringrazio Padre perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11,25).

            Un gesto che ottiene resistenza in coloro, come Pietro, che navigano bene dentro il “si è sempre fatto così” perché gli sta bene così…ma che fa breccia nei cuori degli indifesi, degli ultimi che si affidano e si lasciano amare e ribaltare dentro. Per rischiare tutto, anche la vita, per amore dei fratelli e sorelle.

            Come nel cuore dell’Abbé Xavier, prete centrafricano, che a Boali nel nord del Centrafrica martoriato dalla guerra, ha salvato migliaia di musulmani, rischiando la pelle, dal desiderio di vendetta dei “suoi” cristiani.

            Come nei cuori di Raoul, Ange e Aimé che si spendono anima e cuore per le loro comunità cristiane di Farchana, Tine et Iriba. Servendo, sudando, credendoci…pagando di persona. In ambienti ostili, nel cuore dell’”Islam”dove le nostre chiesette sono state a volte oggetto di attacchi e minacce.

            Come nei cuori di Hassan Moussa, Ahmat, Zara, Ibrahim, Silupin…amici musulmani sempre pronti a servire e farsi in quattro per e con noi.

            Come nel tuo e mio cuore, dove c’è tanto lavoro da fare, ancora e sempre, ma dove, se scaviamo bene, si sente già intenso quel desiderio profondo di lavare piedi e di lasciarseli lavare… quel profumo così forte e bello di “resurrezione e vita” che cambia il mondo.


Buon cammino  a tutte/i verso Pasqua,
vostro fratello e amico sulla strada
Filo