Intervista di corsa rilasciata al caro amico Maurizio Chierici del Fatto Quotidiano
Sono esattamente ad Abéché al
nord-est del Ciad in zona quasi interamente musulmana, la città faro dell’Islam
la chiamano o anche la porta dell’Oriente…da qui infatti passano le antiche
carovane che vanno verso est per il pellegrinaggio alla Mecca…Abéché è un carrefour,
uno snodo importante, terza città del Ciad con oltre 100.000 abitanti, al 97%
musulmani…da qui la gente passa per andare in Sudan (Darfur) ad est, Libia al
nord, Centrafrica al sud e Nigeria ad ovest.
La nostra parrocchia è
vastissima, forse la più grande al mondo…con circa 25 comunità cristiane sparse
nel deserto con distanze fino a 1000 Km…va dalla Libia al Centrafrica! Dopo un
anno non siamo ancora riusciti a visitare tutte le comunità I campi profughi
sono 10 alla frontiera con Il Darfur…sono i campi cha hanno ospitato nel 2004 i
rifugiati che scappavano dalla guerra in Darfur. Io voglio interessarmi di
loro, vado a trovarli, parliamo e prendimo la bevanda locale
insieme…soprattutto collaboriamo con JRS, il Servizio dei Gesuiti ai Rifugiati
che si occupa della scuola nei campi e animiamo e formiamo i funzionari
cristiani che lavorano nei campi…diverse comunità cristiane sono sorte nel 2004
grazie all’impegno proprio della nostra gente del sud che è arrivata a dar
manforte ai soccorsi…all’inizio cominciano come comunità ecumenica tra
cattolici e protestanti, poi ci si divide ma si resta in ottimi rapporti…stanno
migliorando anche i rapporti con i musulmani che si sono visti invadere la loro
terra la “Dar al Islam” dai cristiani…all’inizio paura e rifiuto, attacco alle
chiese, oggi molta più apertura, dialogo, incontro..non manco mai di visitare
gli imam e i sultani quando vado in visita…una volta che ci si conosce tutto
cambia…qui la relazione è al primo posto e col tempo fa cadere molte
barriere…poi parlare arabo con loro cambia le cose…tratto con le autorità
tradizionali, sultani, raligiose, imam e pastori e anche civili, governatori,
prefetti…il nostro intento è rafforzare la conoscenza reciproca, partecipare
alle feste comuni…nella recente benedizione della cappella di Guereda, il 18
maggio, alla presenza del nostro Vescovo Henry Coudray, autorità cristiane e
musulmane erano presenti! Quando ci rechiamo in un posto è fondamentale
salutare le autorità e non manchiamo di farlo..così si tessono rapporti che
alla lunga evitano molti problemi e intoppi..se mi fermano i militari sulla
strada con una chiamata al telefono sblocco subito la situazione…
I Campi hanno il nome dei
villaggi più vicini che li ospitano, si chiamano Tissi, Kounoungou, Mileh…sono
da circa 20000 persone tranne uno il più grande da 40.000…per un totale di
oltre 250.000 persone…i rifugiati sono scappati e altri arrivano ancora dalla
devastazione dei territori del Darfur..case bruciate dai Janjawid, i”diavoli a
cavallo”al soldo di Al Bashir, il rais sudanese…le popolazioni del Darfur,
sempre trascurate erano ribelli a Khartoum, poi con la presenza di oro e
petrolio erano zone troppo strategicamente importanti e hanno cacciato un
popolo dalla sua terra..ancora oggi ci sono incursioni e scontri soprattutto al
sud di Nyala…è una guerra a bassa soglia, con incursioni sporadiche e non
continue…oggi la gente nei campi non può tornare e si sono installati in Ciad,
coltivano campi e si sono costruiti la casa alla loro maniera…il problema è che
è da dieci anni che col sistema Nazioni Unite si sono abituati ad essere
assistiti e sono abituati a rivendicare sempre come se si soldi piovessero
dall’alto…i bambini crescono con la mentalità dell’assistito che deve essere
soccorso…ormai si sono istallati anche se hanno il commercio nel sangue e
ritornano in Darfur, là dove si può, di passaggio per acquistare e vendere…ma
non si perdono la data mensile della repartizione del cibo, che spesso ritrovi
sui mercati locali..rivendono i sacchi di miglio che l’Acnur dà loro per
comprarsi cibo locale…quindi sono ancora nomadi, vanno e vengono dal confine ma
nel 2015 l’Acnur si ritira, ha già cominciato, e quindi dovranno decidere se
retsrae in territorio ciadiano o se rientrare…oggi non hanno scelta vista la
pessaima situazione in patria.
Nei
campi si sono costruiti le case in mattoni cotti al sole, come in Darfur, anche
la tecnica di costruzione è proprio quella sudanese, parlano un arabo più
simile al letterario rispetto al ciadiano dialettale…il tetto è formato dai
teloni dell’Acnur, i primi ripari che hanno trovato…si sono costruiti il
mercato e le varie ong nazionali e straniere gestiscono le scuole,i dispensari
medici e i centri per i giovani con biblioteche e aule video. Sono tanti i
programmi che si sono succeduti nel tempo: ma l’abituarsi al gratuito ha reso
passivi i rifugiati che sembrano non fare niente se non vedono un interesse
monetario. Anche i nostri amici di JRS faticano moltissimo a fare capire che
lavorano per il loro bene e interesse..insomma le contraddizioni degli aiuti!
Nelle case hanno ricostruito l’ambiente
sudanese: stuoie per sedersi e mangiare, piccoli materassi per terra, una
piccola capanna all’entrata per accogliere i visitatori..é là che ci accoglie
Ali nel campo di Farchana, 60 Km est da Abéché…lui è il responsabile del campo
e ci spiega la vita, le difficoltà e le prospettive. Non hanno altra scelta che
restare e adattarsi alla vita ciadiana…anche se è dura cambiare curricula
scolari. Oggi dopo dieci anni passano al sistema di stampo francese e quindi
non più inglese con un educazione più laica e meno incentrata sul riferimento
al Corano…alcuni non accettano e al campo di Mileh hanno fatto scioperi e
barricate…ma è l’unica strada. Le scuole con grandi difficoltà comunque
funzionano e garantiscono ai ragazzi un minimo di educazione e il tempo
impegnato. Gli amici di JRS non perdono un attimo per foramre insegnanti ed
educatori…sono molti i ragazzi che frequentano anche perché la scuola finora
era gratuita…ma con la exit-strategy delle Nazioni Unite stanno cominciando a
far pagare qualcosa ed ecco le prime defezioni. Immancabile è la pausa di metà
mattina per il fatur, la merenda a base di miglio e riso. Gli isnegannti sono
perlopiù ciadiani del sud, più istruiti dei nordisti. Lavorano sodo anche se
riscontrano nei giovani sudanesi resistenze allo studio…è forte la mentalità
che se non si paga non vale…quindi il tutto gratis non ha molto valore e l’istruzione
di basso livello ne risente. Sono loro i fondatori delle comunità cristiane.
Spesso però troppo lontani dalla cultura arabo-sudanese e così in seria difficoltà per accompagnarli e capirli.
Le famiglie sono spesso divise
con i continui viaggi di andata e ritorno dal confine…il commercio prevale sull’unità.
I giovani frequentano la scuola ma le prospettive future nei campi non sono
facili. Abituiati a ricevere i giovani crescono con una mentalità distorta e
delle profonde ferite da rimarginare. Il Sudan non li vuole e il Ciad? Certo il
Ciad li ha accolti ma sono talmente ghettizzati che mi chiedo che volontà ci
sia davvero perché possano restare e integrarsi…
Nel campo hanno piccole moschee
per la preghiera e tutti musulmani…mi hanno detto che ci sono dei cristiani ma
talmente pochi che si nascono nella mischia..indagherò meglio. I cristiani non
si sentono certi liberi nell’oceano musulmano. Non hanno anche il coraggio di
uscire per andare alle celebrazioni delle vicine comunità cristiane per
frequentare con i loro insegnanti, educatori,medici, infermieri…rischiano l’isolamento
nel campo. A parole dicono tutti di rispettarli ma poi nei fatti succede il
contrario.
Nessuno dei rifugiati, a mia
conoscenza, cerca il salto verso l’Europa…mi
sembrano molto concentrati nella loro società e religione per andare a carcare
avventure…e poi perché andarsene quando ti danno tutto? Restano e approfittano!
Ma fino a quando? Con la chiusura dei rubinetti può darsi che qualcuno provi l’avventura
nel deserto libico per arrivare in Europa. Quello che è sicuro è che la situazione
nel giro di un anno si farà esplisiva e le Nazioni Unite che non hanno
preparato bene e gradualmente il passaggio ne sentiranno un colpo durissimo,
così come le ong e gli altri organismi.
Sarà dura ma ce la faranno e sarà
meglio per tutti: i rifugiati smetteranno di essere eterne vittime e stranieri
e cominceranno a rimettere la schiena dritta verso la dignità. Cittadini
ciadiani? Col tempo può darsi…ma quello che importa è che possano finalmente
sentirsi a casa e rimettersi a vivere una vita quasi normale, con i campi da
coltivare, il commercio da alimentare, i bambini a scuola e al vita che
riparte.
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