Commento a Gv 4,5-42
Ai pozzi all’est
del Ciad sono le donne a sudare. Per tirare la corda dei secchi pieni di acqua
da caricare sui dorsi degli asini. Fatiche immense per cercare e alimentare vita.
In nome dei figli e della famiglia da portare avanti.
Anche un uomo
ebreo cerca vita nell’ora più calda del giorno. E incontra una donna di un'altra
cultura. Popoli che si intersecano e provano a innescare la speranza di un
mondo che vive la convivialità delle differenze. Entrano in dialogo, cosa non
scontata per persone di diverso sesso e etnia. Anche in Ciad.
L’uomo
originario della Galilea parla alla donna di un acqua speciale che lei non
conosce. Un acqua che dà forza e coraggio nel cammino della vita. Non per un
solo sorso o attimo. Ma per sempre. Un acqua viva. Così viva che anche la
morte, il passaggio ultimo, non può arrestare. Un acqua che, conosciuta, non fa
più cercare altra linfa per andare avanti. Basta quella. Il senso vero dello
stare al mondo, dell’abitare questo pianeta che si sta ammalando e chiudendo.
Quella forza vitale per cui, per dirla alla Martin Luther King, vale la pena
vivere e, se serve, anche morire. In altre parole, l’Amore. Che niente, neanche
una pandemia, possono distruggere.
Acqua che
rimanda all’infinito, ad un oltre che ci sorpassa. Che non conosciamo, come
dice l’ebreo. E che non è da adorare in un luogo particolare ma da riconoscere
presente dappertutto. Nei volti degli ultimi, degli scartati. E dei tantissimi
che fanno causa comune con loro. In Ciad i nostri responsabili di comunità che
si spendono con passione per vivere in zone durissime al ritmo del Vangelo.
Eccolo in azione, il radicalmente Altro che cammina sulle gambe umane seminando
speranza, gioia, coraggio e giustizia, vicinanza ai poveri. Perché come diceva
Geremia profeta: “Conoscermi non è forse
praticare il diritto e la giustizia, tutelare la causa del povero?” (Ger
22,16)
Non solo acqua
e infinito che non si conoscono. Anche cibo. L’ebreo infatti parlando agli
amici che lo seguono indica un cibo particolare, di cui non hanno esperienza.
Il pane dell’Eucarestia, una vita spezzata con gli impoveriti della terra. Come
l’uomo ebreo che poco dopo si definirà lui stesso il pane della vita (Gv 6,48).
Fino ad allora avevano vissuto per sé. Ora sono chiamati a vivere per gli
altri. Un ribaltamento di prospettiva, un orizzonte che non conoscevano. Ma che
riserva la sorpresa finale del mietere. Il raccogliere frutti di giustizia che
altri hanno seminato. All’est del Ciad la bellezza di vedere cristiani e musulmani
insieme per costruire dal basso una prospettiva diversa di vita. Dove culture e
religioni diverse si incontrano, dialogano, imparano l’una dall’altra. Il sogno
di Dio. Il Regno. La Terra Senza Mali dei popoli dell’Amazzonia.
Questi tempi
del Corona virus che impaurisce e isola possono farci mietere nel mondo la
miccia della rivoluzione spirituale che ridà una scossa all’umanità. Tornare
all’essenziale per vivere. Fare esperienza di Dio, incontrarlo, lasciarci amare
in profondità. Dargli la possibilità di parlarci al cuore. Di vivere dentro
noi! Come acqua viva, Spirito e verità, cibo di cui abbiamo fame e sete
disperate!
Credo che solo
ripartendo da questo incontro l’umanità si rialzerà. Non importa che quel Dio
sia quello di Abramo, di Gesù, di Maometto o delle altre grandi tradizioni
spirituali del mondo. Basta solo un sorso di quell’acqua cosmica, un frammento
di quel cibo universale per dissetare e sfamare per sempre l’anelito di vita intensa
e indistruttibile che ancora batte, come sogno, dentro ognuno e ognuna di noi.
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