Sui passi del Dio che irrompe
Mt 15,21-28
Lettera agli amici
Abéché, 2 dicembre 2018, inizio dell’Avvento
Il Dio di Gesù
di Nazareth sceglie per passione la strada dell’immersione radicale tra gli
uomini. Mette la sua tenda. Non si lava le mani. Se le sporca. E dal basso
della terra libera tra gli uomini quella potenzialità innata, straripante e
autogenerativa di uscire da sé per dare vita e speranza agli altri. Così la
vita circola, aumenta, rinasce. Genera Natale. Libera umanità. Provoca la
felicità vera delle Beatitudini: più dai e più ricevi, più ti impegni per un
mondo radicalmente più giusto e più ne cogli i frutti. “C’è più gioia nel dare che nel ricevere” diceva Paolo agli anziani
di Efeso (At 20,35).
Così carissimi
amici e amiche vorrei condividere con tutti voi qualche passo che Dio mi ha
fatto percorrere e mi ha insegnato sulle strade polverose del Ciad in questi
intensissimi nove anni. Rileggendo l’incontro di Gesù di Nazareth con la donna
cananea riscopro alcune PAROLE che diventano pietre miliari nel cammino della
mia vita. Per farne tesoro in vista della prossima missione in terra
d’Italia…dall’anno prossimo!
PROSSIMITA’: v.21 “Partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e Sidone”:
Gesù di
Nazareth cammina e visita. Sempre vicino alla gente. Mi ha insegnato a entrare
nelle case, villaggi, scuole, ospedali e prigioni, a passare il tempo in mezzo
al popolo, mangiando quello che si trova e prendendo il the assieme. Sulla
stuoia o sulla sedia. Raccontandoci la vita, sogni, attese, paure e angoscie.
Quelle dei discepoli di ieri e di oggi. Dando conforto ai malati, agli
afflitti. Ricevendone in cambio il doppio. Osservando volti, sentendo il
battito del cuore del popolo. Rianimando speranza tra le vene aperte degli
ultimi della terra. Lasciandomi scaldare la vita dal calore umano che riserva
un abbraccio vero. Nelle comunità cristiane, visitando imam e pastori
protestanti, incontrando sulla strada. Anche la notte profonda quando Claude mi
chiama per portare sua moglie grave in ospedale. Visitando per dare importanza
all’altro come mi insegna Olivier: “Papà
Filippo, quando vieni a trovarci per noi è un onore”. Visite improvvisate
ai vicini, la sera quando il sole aggressivo di questa terra ci lascia
respirare. Per terminare sempre con le mani rivolte al cielo, affidando al Dio
della vita i nostri passi sulla terra.
IMPOTENZA: v.22 “Ed ecco una donna cananea, che veniva da quella regione, si mise a
gridare: “Pietà di me Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata
da un demonio”
La donna che
grida è disperata. Non sa più cosa fare. Sente l’impotenza dentro e fuori di
sé. Ho imparato sulla pelle cosa vuol dire non trovare soluzione. Anche dopo
notti insonni, riunioni a non finire sotto il grande albero. A volte mi sono
sentito proprio inutile. Spesso nel marasma di questo sistema strutturalmente
così ingiusto, non sapendo cosa fare, mi è rimasta la sola soluzione che mi ha
insegnato Lele Ramin dal Brasile: un abbraccio!
Eppure la mia
pretesa di risolvere sempre tutto ha pian piano imparato a lasciare spazio a
Dio. Ai suoi tempi, al suo modo, alle sue sorprese. Ho gridato anch’io al Padre
nelle mie notti ciadiane. E Lui ha risposto quando meno me l’aspettavo. E’
intervenuto per liberare dalle fatiche insormontabili. Due processi di
riconciliazione con alcuni fratelli che pensavo ormai impossibili. Come ha
sperimentato Paolo: “Tutto è possibile in
Colui che mi dà la forza” (Fil 4,13)
COLLABORAZIONE E FRATERNITA’: v.23 “Ma egli non le rivolse neppure una parola.
Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: “Esaudiscila,
perché ci viene dietro gridando!”
Strano
l’atteggiamento di Gesù. Neppure una
parola a colei che soffre. La donna
è straniera e pensa a lui come figlio di Davide, nel solco della tradizione di
Israele. Un re forte, vittorioso, vendicativo. Ma chiede misericordia per sua
figlia allo stremo. Il silenzio di Gesù sembra allora destinato a far fare un
passo in avanti alla donna. Per incontrarlo nella sua vera identità.
Ho imparato in
questi anni d’Africa che è importante lasciare fare il passo all’altro. Quando
un idea, un progetto, un sogno viene direttamente dalla gente va in porto con
dei frutti. Quando è pensato solo da noi allora resta una buona idea e poco
più. Così vale per la nostra comunità comboniana: la nostra forza è sognare,
pensare, realizzare insieme le diverse attività. Come fratelli che si ascoltano
e decisono insieme. Così é importante lasciare il tempo all’altro per farsi
avanti, anche quando i nostri più vicini collaboratori ci invitano a prendere
sempre l’iniziativa. Se una comunità cristiana fa il primo passo allora tutto è
più facile. La collaborazione va da sé. La fraternità chiude il cerchio. Sono
cominciati così i pozzi a Goz Beida e Koukou, la banca dei cereali del
Movimento Rewnodji, il progetto formazione al cucito e la pressa ad olio per le
donne musulmane. Le scuole di Oum Hadjer e Adré, Guereda e Goz Beida, l’acqua a
Biltine.
MISTICA: v. 25 “ Ma la donna si mette in ginocchio davanti a lui e dice:” Maestro
aiutami!”.
La donna cerca
col cuore la relazione con Gesù. Senza il contatto diretto e costante con Gesù
di Nazaret la missione non tiene. Me lo disse un giorno nei denti un comboniano
che è nato in cielo la settimana scorsa, fratel Elia: “Se non preghi, caro mio, tornerai presto a casa dall’Africa!”. Era
vero. Nella gioia e nel dolore della missione si resta solo se si è aggrappati a
Lui. Per riconoscerlo al lavoro tra i volti e le vicende del nostro popolo. La
missione è sua e siamo noi ad aiutarlo e a collaborare con lui. Noi a dare una
mano allo Spirito di vita che trasforma il mondo. Gregari e non protagonisti.
L’unico insostituibile nella missione è Lui!
SENSO DI APPARTENENZA: v.26 Gesù rispose:”Non è bene prendere il pane
dei bambini e darlo ai cani”
La risposta di
Gesù sembra ancora più dura. Anzi razzista. Chi può chiamare gli altri “cani”?
Gli ebrei , che si consideravano i bambini preferiti da Dio, chiamavano con
disprezzo i pagani “cani”. Gesù è profondamente ebreo, radicato nella sua
cultura. Qui provoca il cambiamento della donna che prima era in piedi e ora in
ginocchio. Prima lo chiamava “Figlio di Davide” come chi non ha capito nulla e
ora “ Maestro” come i discepoli che imparano da lui. Gesù sta preparando il
passo finale della donna. Gesù appartiene ad una cultura precisa ma va oltre
per lasciare spazio al Vangelo che si immerge e fa nuove tutte le cose. Così ho
imparato un po' in Ciad a sentirmi più parte della mia famiglia comboniana con
le nostre ricchezze e i nostri limiti. Cadute e risalite. Dentro le molteplici
culture ciadiane che ci hanno accolto. Per provare a lasciarci trasformare dal
Vangelo in fratelli e sorelle. Oltre lingue, colori della pelle, tradizioni,
religioni. Nel pellegrinaggio della pace con giovani cristiani e musulmani, che
abbiamo terminato a Mongo sabato scorso, ho respirato a tratti il sogno di Dio.
UMILTA’ E AUDACIA: v.27 “ E’ vero maestro, dice lei, nonostante ciò
i cani mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro maestri”.
La donna non
si arrende e la sua audacia la porta a fare il passo decisivo. Quello
dell’umiltà. La povertà vera. Il riconoscersi nulla davanti a Lui che ci vuole
accogliere con tutti gli onori. Più ti abbassi e più Lui ti rialza. Più ti
gonfi e più la vita stessa ti stende.
Dalle
umiliazioni ho imparato un po' l’umiltà. Di chiedere perdono. Di riconoscere
errori e mancanze. Di non avere sempre ragione o la migliore idea. Di tacere al
momento giusto. Di riconoscermi piccolo e fragile. Bisognoso di Dio e dei
fratelli sempre. Ho imparato, un po' soltanto, ad obbedire. A lasciare il Ciad
per un nuovo servizio in Italia. Senza averlo chiesto né desiderato.
FIDUCIA: v.28 “Allora Gesù le rispose: Oh! Com’è grande la tua fiducia! Dio ti darà
quello che desideri. E sua figlia fu guarita in quello stesso istante”
Ecco che la
donna è arrivata dove Gesù voleva portarla. Alla fiducia piena. Non nella sua
idea di Dio magico, forte e vittorioso, appartenente ad una cultura precisa. Ma
nel Dio di Gesù. Il Padre di tutti che attende sulla strada il nostro ritorno.
Il Dio che, per primo, ha fiducia in noi. E che attende la risposta fiduciosa e
umile da parte nostra.
Ho imparato un
po' a dare fiducia alla nostra gente. A farli sentire importanti. Come loro
hanno fatto con me. Anche quando mi hanno tradito. Così è il sogno di Daniele
Comboni che non può fermarsi nonostante gli ostacoli e le prove del cammino.
Sempre
e comunque in cammino liberando umanità.
Sempre
e comunque in cammino liberando l’Africa con l’Africa.
Buon
tempo di Avvento,
Vostro
sempre
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