Eco dal Ciad del pellegrinaggio di Francesco sulla terra sacra d'Africa
Abakar confratello sudsudanese me lo
disse due anni fa: “Se davvero Papa
Francesco sta dalla parte degli ultimi deve venire in Centrafrica”.
Qui in Ciad sono due anni e mezzo che
giunge il grido di quel popolo fratello e vicino di casa martoriato dagli
interessi dei grandi della terra. Sangue e dolore di diamanti e petrolio
camuffati in un conflitto tra cristiani e musulmani che non ha trovato gran eco
sui media del mondo. Concentrati su bel altro…
Francesco, che porta nel cuore
soltanto il Vangelo e i poveri della terra, come Gesù di Nazaret e Francesco di
Assisi, ha ascoltato quel grido. E ha messo piede qui.
In Africa non conta tanto un discorso
che viene da lontano, una lettera o una chiamata al telefono. Qui bisogna
venire e incontrare faccia a faccia. La relazione personale, il volto, è al
cuore della vita e delle culture africane che palpitano ancora nei diversi
angoli del continente. Ferito, impoverito dai grandi della terra, spesso
dimenticato da tutti ma con una voglia matta di riscatto, di rimettersi in
piedi e di camminare.
L’ospite è ancora sacro qui,
nonostante le varie culture africane, mescolate al peggio della globalizzazione
occidentale, abbiano perduto molto dei valori originari. Essere visitati da
qualcuno è segno di dignità e di importanza. Il fatto che Francesco sia venuto
per la prima volta in Africa è già un segno enorme di speranza. “Siamo importanti! Valiamo agli occhi di Dio!”…sono
questi i sentimenti che più circolano nei cuori africani…a tutte le latitudini.
E non solo per i cristiani.
La tappa del Centrafrica è stata, a
detta dello stesso papa, la prima pensata nel suo cuore. E nel cuore di un papa
visto che è la prima volta per un vescovo di Roma di toccare questa terra. Sfidando
la sicurezza che non poteva certo garantire tutte le certezze del caso,
Francesco nell’aprire la porta della Cattedrale di Bangui, come la prima del
Giubileo della misericordia, ha messo l’Africa al centro ribaltando le logica del
mondo. Ha detto che da quel momento
Bangui, la capitale del Centrafrica, sarebbe diventata “capitale spirituale del mondo”. Sono parole di una portata enorme
se consideriamo tutto il sangue versato in questi ultimi anni per le strade
delle sue periferie e dei suoi quartieri. La gente era commossa, lo hanno
applaudito a non finire ogni volta che parlava di pace e di fraternità. SI sono
detti disposti a fare quello che lui chiede: perdonare senza condizioni. Per
“passare all’altra riva” (Lc 8,22). Quella della riconciliazione e della
fratellanza universale”.
Come ha ribadito Francesco nella
visita-simbolo più forte del suo viaggio africano: l’incontro con la comunità
musulmana nella Moschea centrale di Koundoukou à Bangui. Ha detto col coraggio
del Vangelo: “Tra cristiani e musulmani
siamo fratelli. Dobbiamo dunque considerarci come tali, comportarci come
tali…chi dice di credere in Dio dev’essere anche un uomo o una donna di pace”.
Parole forti che sono risuonate nella mia omelia di ieri qui ad Abéché, per
dare coraggio al nostro cammino di incontro e di coabitazione pacifica con la
stragrande maggioranza musulmana della città. Parole che hanno profondamente
emozionato la gente. Isabelle, ragazza madre abbandonata dal marito, al termine
della messa mi ha detto: “Questa è la
direzione che Dio ci chiede. Andiamo avanti così. Grazie”
Prima di arrivare in Centrafrica papa
Francesco era passato da Kenya e Uganda.
In Kenya perché è il paese simbolo
della sfida mondiale della nostra epoca: proteggere il creato riformando il
modello di sviluppo perché sia più giusto, inclusivo e sostenibile. Visitando
le baraccopoli di Nairobi ha gridato contro lo scandalo e la vergogna
dell’umanità di costruire luoghi dove coabitano divari incredibili tra immensa
ricchezza e enormi povertà. Con il suo passaggio e il suo grido ha voluto
scuotere le coscienza mondiali e riportare al centro dell’attenzione globale
fenomeni inumani e inauditi ai quali spesso ci siamo soltanto assuefatti.
Qui in Ciad la gente ascoltava le sua
parole alla radio, nei mercati tanti si riunivano attorno alle televisioni per
vederlo e immedesimarsi nella folla. I nostri cristiani ricordano il 1990
quando venne in Ciad Giovanni Paolo II : a piedi la gente dai villaggi faceva
chilometri e chilometri per andare ad ascoltarlo e a vederlo. E pochi mesi dopo
il feroce dittatore Hissene Habré fu cacciato via dai ribelli che cominciarono
una nuova era. Non rose e fiori ma certo meglio…
Visite che cambiano la storia…
In Uganda Francesco ha voluto essere
presente nell’anniversario dei 50 anni della canonizzazione dei martiri
ugandesi. Sottolineando la testimonianza fino all’estremo dei giovani ragazzi
che hanno scelto Gesù Cristo e non l’imperatore. Un gesto che parla ancora oggi
dritto al cuore della Chiesa e della società ugandese. Capace di mettere al
centro la forza dello Spirito che apre nuove strade: la lotta contro l’AIDS e
l’accoglienza dei rifugiati.
Ora che i riflettori del mondo sono
già ben lontani dall’Africa cosa resta?
Una speranza enorme da parte della
gente semplice e di tutti i popoli africani in vista della pace e della
fratellanza universale.
Una gioia grande di Dio e di
Francesco per quest’incontro indimenticabile che fa la storia dell’Africa…e
della Chiesa!
L’impegno quotidiano di chi si spende
sul terreno giorno dopo giorno, laici, religiosi e religiose,lontano dai
riflettori, per costruire giustizia e umanità contro la corrente del mondo.
Con l’Africa nel cuore come Daniele
Comboni che gridava: “O l’Africa o la morte”.
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