Commento
libero al Vangelo di Lc 7,11-17
Nella Galilea del suo tempo Gesu di Nazaret soffre
come un matto per l’impoverimento della sua gente. Oppresso da tre tasse che
schiacciano, indebitato fino al collo, il popolo non ce la fa più. Con un
ferreo regime coloniale romano che stronca sul nascere ogni tipo di
contestazione e un sistema religioso che alimenta ingiustizia e diseguaglianza,
al limite della soglia di povertà, il popolo é smarrito e attorniato da un
atmosfera di morte. Come la donna
vedova, simbolo nella
Bibbia dei poveri, insignificanti e indifesi, in compagnia degli orfani e degli
stranieri. Ha perso tutto, il marito e l’unico figlio. Sono poche le madri che
in Africa hanno un solo figlio. Malattie, imprevisti vari, onore sociale e necessità
di braccia per i campi dettano l’urgenza di moltiplicare la prole. Intanto la
donna di Nain é disperata e piange.
Come il popolo del Darfur, decimato
dalle razzie dei “janjawid” i guerrieri a cavallo del presidente sudanese Al
Bashir, che vuole fare piazza pulita e accaparrarsi l’oro della regione dopo
aver perso il petrolio del sud. Cinquant’anni di vita dell’Unione Africana non sono serviti a molto, se i paesi non
riescono insieme a intervenire e dare soluzioni a conflitti laceranti ( Congo
RDC, Centrafrica, Mali, Somalia, Darfur...). Dall’inizio dell’anno quasi 30
mila sudanesi del Darfur si sono rifugiati in Ciad dove vengono accolti nei
campi profughi di Goz Beida, Tissi e Guereda. “Avevo fame, ero nudo, ero forestiero...”. La comunità cristiana di Abeché, che accoglierà presto una nuova equipe di
missionari comboniani, si fà carico con coraggio di questi sfollati, provando a
fare causa comune con chi ha perso terra e casa. E molti anche familiari, figli
o parenti.
Come gli sfollati di Toukra,
alle porte di N’Djamena. Rischiano di dar vita alla prima baraccopoli ciadiana.
Cinquemila persone che hanno perso tutto con le grandi alluvioni dello scorso
anno e sopravvivono in capanne di paglia e teloni in attesa di un aiuto del
governo. In condizioni indegne di vita, con un caldo sovraumano, senza bagni,
con scuole di fortuna crollate con l’ultima tempesta di sabbia e con il rischio
delle prossime piogge provano a resistere. Con la forza che puó venire solo
dallo Spirito, quello di Pentecoste, che abbiato invocato a lungo nell’Eucarestia
sotto i teloni. Una donna ha fatto una preghiera che mi ha steso e mi son detto
che se il Padre-Madre di tutti non ascolta questa, allora meglio fare le
valigie:
“Papà, noi siamo come il popolo di Israele, schiavi sotto le tende, in situazione indegna, di oppressione, tu ascolti il nostro grido, tu conosci la nostra sofferenza vieni a liberarci dal nostro Egitto e portaci con te nella Terra Promessa...”
Gesù nell’incontro con la donna che rappresenta il suo popolo allo stremo si sente ribollire le viscere, si lascia
toccare dentro con l’intensità di quell’amore che solo l’evangelista Luca é
capace di dipingere così bene. Come il cuore dello straniero (da noi sarebbero
i nomadi Mbororo o i musulmani) che si
prende cura del moribondo sulla strada (Lc 10,33) e quello del Padre-Madre
misericordioso che attende il ritorno del figlio minore (Lc 15,20). Cuori
pazzi, capaci di cambiare il corso degli eventi perché osano andare e sognare
oltre.
Gesù si avvicina alla bara e la tocca. La sua é
una sfida perché cadaveri e oggetti circostanti non potevano essere toccati. Ma
la morte non puó contaminarlo perché con lui non ha potere. E’ soltanto un
passaggio, quello decisivo, per far fiorire in pienezza la vita. Non si diventa
impuri nel contatto con la morte. O con i diversi. Quando i musulmani, vicini
di casa o gli amici della Tenda di
Abramo a N’Djamena (centro
culturale e luogo di incontro islamo-cristiano) mi invitano a mangiare con loro
non esito un attimo a lavarmi le mani, mettermi in cerchio e attaccare il
piattone unico. Con la gioia di sentimi un pó di più uno di loro.
Gesù invita il figliolo a ridestarsi, “in piedi” come piaceva a don Tonino Bello (quest’anno ricorre l’aniversario dei 20
anni dalla sua morte) incoraggiare i costruttori di Pace, ridà
fiato e speranza al popolo. Con una Parola che ha il sapore della tenerezza. Quella
di Padre Pino
Puglisi (martire e fatto santo
anti-mafia da una settimana) con i suoi ragazzi di Brancaccio. Tenerezza capace
di riconsegnare alla madre il figlio. Al popolo la sua guida, quel Gesù di
Nazaret passato al vaglio dalla passione e dalla morte per dar vita ad un
esistenza senza limiti e barriere..
Una storia altamente simbolica quella della donna
di Nain. E forse ci siamo dentro tutti, uno per uno. Con la voglia matta di
rimetterci in piedi e risorgere tornando alla fonte che ha il sapore di Vangelo.
Come la comunità cristiana che, sui passi di Francesco, prepara la
nuova primavera. Dopo il lungo inverno ecclesiale finalmente ci siamo! La
comunità di Gesù si rimette in piedi e in cammino con fiducia sulle orme dei
martiri che dettano la strada. Con Oscar
Romero e Lele Ramin (i due in odore di beatificazione) in
primafila...
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