mercoledì 23 dicembre 2015

Il sogno della rinascita



Per un Natale all’insegna di una nuova umanità
Lc 2,1-14



Questa nostra umanità o rinasce o si distrugge. Neanche tanto lentamente.

            O si incontra nei suoi molteplici volti o muore.

            Natale è rinascere insieme: musulmani, che celebrano qui al nord-est del Ciad il 23 la nascita del profeta Mohammad, e cristiani che celebrano il 24 la nascita di Gesù di Nazaret. L’incontro nel nome della nascita. 

            Sono a Koukou Angarana, a 260 km a sud di Abeché. Questa mattina sono stato con Nazzer, responsabile della comunità cristiana, a visitare l’imam e il sultano di Goz Beida. Ahmat Buhari, imam della grande moschea, ci riconosce e ci accoglie molto bene. Gli regaliamo il Messaggio dei Vescovi per il Natale. Parole di Pace che sfidano i grandi interessi. Stasera faremo lo stesso qui a Koukou. C’è aria di festa in giro per le strade e queste due feste così ravvicinate mi fanno sperare che l’umanità riparte nel segno della nascita. Di Gesù e di Mohammad. Della nostra umanità ferita al cuore.

            Rinascere insieme vuol dire celebrare insieme, fare festa insieme. Sentirci fratelli e sorelle che fanno parte della stessa umanità. Uniti nelle differenze. Fratelli e sorelle, cristiani e musulmani, che non si lasciano dividere dagli interessi beceri dei grandi Cesari del mondo seduti sui loro comodi e ben farciti conti bancari. Mentre più della metà della popolazione mondiale vive di stenti, sopravvive e anche non ce la fa. Anche qui in Ciad come 2000 e passa anni fa  é tempo di censimento organizzato dai grandi per sapere quanti voti (che saranno rubati!) e quante tasse  reclamare. A danno dei piccoli.

            Rinascere insieme è rischiare di mollare interessi e privilegi per cambiare radicalmente stile di vita. Per non vivere sulle spalle degli altri. Che sempre pagano le conseguenza: della materie prime rubate, delle armi svendute, del clima impazzito!

            In questo Natale penso ai nostri bambini ciadiani “enfants bouviers” venduti ai grandi proprietari di cammelli del nord e costretti a pascolarli. Piccoli pastori maltrattati, calpestati come i colleghi nei pressi di Betlemme. Penso ai bambini schiavi in Ciad e nel mondo che lavorano per un niente. A chi ha un fucile in mano per combattere non si sa chi. A chi ha un esplosivo pronto ad azionare in qualche mercato del nord della Nigeria o anche qui in Ciad.

            Penso ai profughi di questo mondo che chiude porte e frontiere dimenticando che la terra è di tutti. Dimenticando che paesi come il Ciad hanno accolto negli ultimi dieci anni più di 500.000  profughi provenienti dal Darfur, dal Centrafrica, dalla Nigeria. "Non c'era posto per loro sulla terra..."

            Penso a chi è in cammino col volto e il morale a terra  cacciato dalla sua terra e dalle sue radici.

            Penso alle nostre donne ciadiane e a tutte le donne tenute sempre sotto, senza piena dignità di parola e di vita.

            Penso a chi ha perso la bussola e non sa più perché sta al mondo.

            Penso al segno di un Dio, un bambino, che decide di fare causa comune con i vinti della terra per scrivere una nuova storia a partire da loro. Storia di rinascita, di liberazione, di incontro e dialogo, di pace fondata sulla verità, sulla libertà, sull’amore, sulla giustizia. Ricominciando dai piccoli per far rinascere un mondo radicalmente altro.

            Penso che quel bambino ci chieda oggi di rinascere insieme con una mentalità radicalmente nuova…cristiani e musulmani, di tutte le religioni ed etnie, del nord e del sud del mondo. Per un’umanità nuova degna del suo nome. Fatta di fratelli e sorelle. Che mette l’Uomo al centro e la sua dignità. E non l'impero del dio denaro.

 Per rinascere ci vuole una morte...alle armi, alle lotte per la terra, i dimanti, il petrolio, i soldi, l'Io...

            Se nasce e rinasce ancora è perché, nonostante tutto, Dio non si è ancora stancato di noi uomini.
            E non si stancherà mai…di sognare, di rischiare, di amare, di dare la vita, di rinascere…
             Sempre con l’Uomo nel cuore. E con la missione di renderlo felice davvero nel suo passaggio sulla terra. Fino ad essere, rinascere e vivere in Lui. La grande gioia della notte del Natale... che non si esaurisce...

            E  noi?                                    

lunedì 7 dicembre 2015

Passare all'altra riva...



Eco dal Ciad del pellegrinaggio di Francesco sulla terra sacra d'Africa

Abakar confratello sudsudanese me lo disse due anni fa: “Se davvero Papa Francesco sta dalla parte degli ultimi deve venire in Centrafrica”. 

Qui in Ciad sono due anni e mezzo che giunge il grido di quel popolo fratello e vicino di casa martoriato dagli interessi dei grandi della terra. Sangue e dolore di diamanti e petrolio camuffati in un conflitto tra cristiani e musulmani che non ha trovato gran eco sui media del mondo. Concentrati su bel altro…
Francesco, che porta nel cuore soltanto il Vangelo e i poveri della terra, come Gesù di Nazaret e Francesco di Assisi, ha ascoltato quel grido. E ha messo piede qui.

In Africa non conta tanto un discorso che viene da lontano, una lettera o una chiamata al telefono. Qui bisogna venire e incontrare faccia a faccia. La relazione personale, il volto, è al cuore della vita e delle culture africane che palpitano ancora nei diversi angoli del continente. Ferito, impoverito dai grandi della terra, spesso dimenticato da tutti ma con una voglia matta di riscatto, di rimettersi in piedi e di camminare.

L’ospite è ancora sacro qui, nonostante le varie culture africane, mescolate al peggio della globalizzazione occidentale, abbiano perduto molto dei valori originari. Essere visitati da qualcuno è segno di dignità e di importanza. Il fatto che Francesco sia venuto per la prima volta in Africa è già un segno enorme di speranza. “Siamo importanti! Valiamo agli occhi di Dio!”…sono questi i sentimenti che più circolano nei cuori africani…a tutte le latitudini. E non solo per i cristiani.

La tappa del Centrafrica è stata, a detta dello stesso papa, la prima pensata nel suo cuore. E nel cuore di un papa visto che è la prima volta per un vescovo di Roma di toccare questa terra. Sfidando la sicurezza che non poteva certo garantire tutte le certezze del caso, Francesco nell’aprire la porta della Cattedrale di Bangui, come la prima del Giubileo della misericordia, ha messo l’Africa al centro ribaltando le logica del mondo. Ha detto  che da quel momento Bangui, la capitale del Centrafrica, sarebbe diventata “capitale spirituale del mondo”. Sono parole di una portata enorme se consideriamo tutto il sangue versato in questi ultimi anni per le strade delle sue periferie e dei suoi quartieri. La gente era commossa, lo hanno applaudito a non finire ogni volta che parlava di pace e di fraternità. SI sono detti disposti a fare quello che lui chiede: perdonare senza condizioni. Per “passare all’altra riva” (Lc 8,22). Quella della riconciliazione e della fratellanza universale”.

Come ha ribadito Francesco nella visita-simbolo più forte del suo viaggio africano: l’incontro con la comunità musulmana nella Moschea centrale di Koundoukou à Bangui. Ha detto col coraggio del Vangelo: “Tra cristiani e musulmani siamo fratelli. Dobbiamo dunque considerarci come tali, comportarci come tali…chi dice di credere in Dio dev’essere anche un uomo o una donna di pace”. Parole forti che sono risuonate nella mia omelia di ieri qui ad Abéché, per dare coraggio al nostro cammino di incontro e di coabitazione pacifica con la stragrande maggioranza musulmana della città. Parole che hanno profondamente emozionato la gente. Isabelle, ragazza madre abbandonata dal marito, al termine della messa mi ha detto: “Questa è la direzione che Dio ci chiede. Andiamo avanti così. Grazie

Prima di arrivare in Centrafrica papa Francesco era passato da Kenya e Uganda.

In Kenya perché è il paese simbolo della sfida mondiale della nostra epoca: proteggere il creato riformando il modello di sviluppo perché sia più giusto, inclusivo e sostenibile. Visitando le baraccopoli di Nairobi ha gridato contro lo scandalo e la vergogna dell’umanità di costruire luoghi dove coabitano divari incredibili tra immensa ricchezza e enormi povertà. Con il suo passaggio e il suo grido ha voluto scuotere le coscienza mondiali e riportare al centro dell’attenzione globale fenomeni inumani e inauditi ai quali spesso ci siamo soltanto assuefatti. 

Qui in Ciad la gente ascoltava le sua parole alla radio, nei mercati tanti si riunivano attorno alle televisioni per vederlo e immedesimarsi nella folla. I nostri cristiani ricordano il 1990 quando venne in Ciad Giovanni Paolo II : a piedi la gente dai villaggi faceva chilometri e chilometri per andare ad ascoltarlo e a vederlo. E pochi mesi dopo il feroce dittatore Hissene Habré fu cacciato via dai ribelli che cominciarono una nuova era. Non rose e fiori ma certo meglio…

Visite che cambiano  la storia…

In Uganda Francesco ha voluto essere presente nell’anniversario dei 50 anni della canonizzazione dei martiri ugandesi. Sottolineando la testimonianza fino all’estremo dei giovani ragazzi che hanno scelto Gesù Cristo e non l’imperatore. Un gesto che parla ancora oggi dritto al cuore della Chiesa e della società ugandese. Capace di mettere al centro la forza dello Spirito che apre nuove strade: la lotta contro l’AIDS e l’accoglienza dei rifugiati.

Ora che i riflettori del mondo sono già ben lontani dall’Africa cosa resta?

Una speranza enorme da parte della gente semplice e di tutti i popoli africani in vista della pace e della fratellanza universale.

Una gioia grande di Dio e di Francesco per quest’incontro indimenticabile che fa la storia dell’Africa…e della Chiesa!

L’impegno quotidiano di chi si spende sul terreno giorno dopo giorno, laici, religiosi e religiose,lontano dai riflettori, per costruire giustizia e umanità contro la corrente del mondo. 

Con l’Africa nel cuore come Daniele Comboni che gridava: “O l’Africa o la morte”.

sabato 28 novembre 2015

Dello stesso sangue

Per un Avvento di Pace e Fratellanza Universale

C’è euforia al Foyer dei giovani di Abéché! Più di trecento giovani affollano il centro culturale della missione cattolica per vivere insieme la giornata della coabitazione pacifica! Sullo sfondo le notizie dalla radio che al lago Ciad ancora Boko Haram, il gruppo affiliato allo Stato Islamico, attacca villaggi e fa stragi di innocenti…ma qui ad Abéché la resistenza di un popolo che ancora prova a credere nella pace…con ostinata speranza…quella di un nuovo cielo e una nuova terra…

                Il 28 novembre  è festa in tutto il Ciad! Si fa memoria della proclamazione della Repubblica…ancora lontana dall’essere la casa comune dei ciadiani…ma almeno in cammino. Dopo trent’anni di guerre che hanno dissanguato il paese e tolto il fiato alla popolazione il popolo ciadiano prova a rimettersi in piedi. Parola d’ordine: oabitazione Pacifica…tra tutte le etnie e culture, tra le religioni…cristiani e musulmani che si mettono insieme per vivere un momento unico di festa, di canto, di riflessione, di preghiera insieme,,,versetti del Corano si intercalano a versetti biblici! Applausi a non finire…pelle d’oca per una speranza oltre confini! Si comincia con le corali della comunità cristiana per continuare con canti in arabo che toccano cuori e sguardi di pace…l’inno nazionale ciadiano cantato da tutti in piedi…le parole di benvenuto dei responsabili della comunità cristiana di Abéché e del Comitato Giustizia e Pace & Dialogo interreligioso che ha organizzato l’evento….per la prima volta nella storia di Abéché.

                Facciamo memoria della storia della nostra città per capire radici e tradizioni…Mohammad Salaeh Jacob, vice rettore della nostra Università Adam Barka di Abéché, apre le danze con un intervento magistrale che fa capire da dove veniamo…terra dell’islam che si apre poco a poco all’incontro con le culture del sud e del cristianesimo passando per la crudeltà del tempo del colonialismo che ha lasciato ferite aperte…poi tante domande intervallate dai gruppi teatrali di giovani cristiani e musulmani che attraverso gesti, parole e situazioni rocambolesche di vita tra diverse etnie e religioni lanciano il messaggio dell’unità nella diversità.

                Quindi l’intervento di Abdelkerim, segretario del Consiglio Superiore degli Affari Islamici, che invita tutti i giovani ad aprire gli occhi e cuori per conoscere davvero il Corano e la Bibbia e partire dai fondamenti e dell’essenza delle religioni: il rispetto per l’altro, l’accoglienza, l’attenzione ai più poveri. “Siamo dello stesso sangue e non possiamo farci del male gli uni gli altri” grida dal palco. “In te vedo me e in me vedo te” dice ai giovani cristiani…lui uomo musulmano formato da suor Nadia ai tempi del liceo Franco-Arab…in 30 anni che la conosce lei non gli hai chiesto di diventare cristiano e lui mai ha provato a convertirla all’Islam…non è forse la libertà di coscienza a cui la Chiesa è arrivato solo con il Concilio Vaticano II. Non è forse questo il mondo che sogniamo? Ognuno risponde davanti a Dio e al santuario della sua coscienza…

                “Non è questo il cielo nuovo e la terra nuova che coltiviamo nel più profondo del cuore?” grida padre Filo dal palco per il messaggio dei cristiani sulla coabitazione pacifica. “Dio sogna una città diversa, costruita da lui come regalo per l’uomo…città dove non ci saranno più conflitti, più sangue e più la morte…la Gerusalemme celeste di cui parla l’Apocalisse al capitolo 21 (Ap 21,1-8). Dio aveva provato a lasciare che gli uomini costruissero la loro città fin dagli unizi…ma quel tentativo è andato male. I suoi figli invece di costruire in orizzontale relazioni di fratellanza universale sono andati in verticale con la torre di Babele dove hanno cercato di toccare il cielo..farsi grandi, sostituirsi a Dio! Così comincia la Bibbia…e termina con la città vera, la Gerusalemme celeste, che può essere solo dono suo per noi. E’ questa la Abéché che sogniamo…il Ciad che vogliamo…l’Africa che portiamo nel cuore…l’umanità che vogliamo rivoluzionare”. Il testo sovversivo dell’Apocalisse è letto anche in arabo da padre Abakar confratello sud sudanese…che termina la mattinata con la preghiera in arabo di Papa Francesco sulla pace(qui in francese):

Prière pour notre terre (Laudato Sii n°246)

Dieu Tout-Puissant
qui es présent dans tout l’univers
et dans la plus petite de tes créatures,
Toi qui entoures de ta tendresse tout ce qui existe,
répands sur nous la force de ton amour pour que nous protégions la vie et la beauté.
Inonde-nous de paix, pour que nous vivions comme frères et soeurs
sans causer de dommages à personne.
Ô Dieu des pauvres,
aide-nous à secourir les abandonnés
et les oubliés de cette terre
qui valent tant à tes yeux.
Guéris nos vies,
pour que nous soyons des protecteurs du monde et non des prédateurs,
pour que nous semions la beauté
et non la pollution ni la destruction.
Touche les coeurs
de ceux qui cherchent seulement des profits
aux dépens de la terre et des pauvres.
Apprends-nous à découvrir
la valeur de chaque chose,
à contempler, émerveillés,
à reconnaître que nous sommes profondément unis
à toutes les créatures
sur notre chemin vers ta lumière infinie.
Merci parce que tu es avec nous tous les jours.
Soutiens-nous, nous t’en prions,
dans notre lutte pour la justice, l’amour et la paix.

                A concludere la mattinata le parole emozionate di Abba Saradingar nostro cristiano e segretario generale della regione del Dar Ouaddai, rappresentante del Goverantore, che si augura vivemente che iniziative come questa si moltiplichino e aiutino i giovani a costruire pace e fratellanza nel paese.

                In serata un video ciadiano stupendo “Moussa e Cristian” per i giovani che affollano la sala video del Foyer. La storia di due grandi amici, uno cristiano e l’altro musulmano, divisi dalla guerra degli anni ’80 che arrivano a ricostruire la loro amicizia e a renderla inossidabile. Segue il dibattito tutto organizzato dai giovani all’insegna delle testimonianze di vita assieme, di amicizia e di rispetto, anche di scontri nella vita a volte…ma mai la serata prende il tono della polemica e dell’astio. Terminiamo nella gioia e con la speranza folle che quello che abbiamo vissuto in questo 28 novembre continui a scaldare cuori e passi dei costruttori di pace, felici di essere chiamati Figli di Dio (Mt 5, 9).

                Da maestra Africa arriva uno spiraglio di speranza,,una porta che si apre...come la porta santa della Cattedrale di Bangui, in Centrafrica, che domani Franscesco splanca per l'avvento di Dio...Per il momento speriamo possa confortare chi nel mondo vive nell’angoscia e nel panico...E per chi vive nella paura che ci fa chiedere in casa. 

               Forse l'insegnamento di mamma Africa può bastare per chi se la prende con tutti gli immigrati? E per chi pensa che non è possibile sulla terra vivere da fratelli e sorelle? 

             Sono solo dei nostalgici sognatori coloro che si spendono per incontrarsi e conoscersi tra diversi? E forse é solo un illuso chi si spende fino in fondo per un umanità nuova per vivere sulla terra in modo radicalmente altro? Forse era un pazzo Gesù Cristo? Forse è solo un matto da legare papa Francesco che tocca ora il suolo sacro del Centrafrica come prima volta nella storia martoriata del paese per un Vescovo di Roma? Forse noi cristiani e musulmani di Abéché siamo solo isola felice che non conta nulla agli occhi del mondo? Forse coem recitano tanti l'impegno non serve a nulla e le cose non cambiano mai?

O forse, come cantava Bennato, “chi ci ha già rinunciato e ti ride alle spalle forse è ancora più pazzo di te?