mercoledì 12 luglio 2017

Come opera un missionario comboniano in Ciad


Un testo a margine di un incontro a Parma su un titolo che mi hanno richiesto

Il titolo porta subito a pensare al dinamismo e al fare. Ma prima di mettersi in pista il missionario comboniano in Ciad porta in cuore un sogno e per coltivarlo sente l'esigenza di:

  1. ASCOLTARE: la realtà, la gente, i volti, la storia, i proverbi, il cuore del popolo. Paure e angosce, attese, sogni e speranze. Per questo bisogna sostare lunghe ore sulle stuoie a bere il the con la gente, a mangiare la boule (polenta di miglio) con le mani, a guardare le stellate la sera, a spendere tempo per le relazioni. Immergersi nel cammino di un popolo con le sue ferite e la sua sete di riscatto. Sempre in punta di piedi, cercando di mettere da parte il giudizio. E' entrare nella terra sacra dell'altro, della sua dignità. Ascoltare in profondità vuol dire amare e imparare. La lingua per comunicare, i cibi da condividere, il modo di pensare e di affrontare la vita, la cultura, i gesti, il non detto. Soprattutto nei momenti chiave: nascita, matrimonio, procreazione, morte. Un missionario una volta mi disse: “Missione é sedersi dove la gente si siede e lasciare che Dio avvenga”.
  2. PREGARE: sostare a lungo con il Padre.
  • Silenzio profondo per ascoltarlo nella sua Parola.
  • Lotta interiore tra la passione straripante dell'uomo nuovo che vuole spezzare la vita per i fratelli e sorelle per un mondo di giustizia e resistenze dell'uomo vecchio che tira l'acqua al mulino del proprio io.
  • Occhi per riconoscerlo al lavoro nei cuori della gente e nel cammino del popolo. Sguardo mistico di chi riconosce lo Spirito che libera il meglio dell'uomo dentro la storia.
  • Lasciarsi interpellare e provocare da una Parola che vuole trasformare radicalmente la vita per farne un offerta agli ultimi della terra. E con loro trasformare il mondo. Renderlo più umano e abitabile per tutti. Diceva Ghandi: “Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”.

  1. AGIRE: sempre con gli altri. Collaborando e sognando insieme. Per costruire ponti e speranza in vista di un mondo più fraterno e giusto. Ad Abeché al nord est del Ciad questo vuol dire:
  • creare un ponte con il mondo musulmano che é il 99% della popolazione. Tessere legami e amicizie nella semplice vita quotidiana del quartiere. Le visite a casa e in ospedale, le partite a pallavolo, gli incontri al mercato. E anche nella collaborazione su progetti comuni. Attraverso scuola, alfabetizzazione e cultura. Piccoli progetti di generazione di reddito per associazioni di donne musulmane emarginate (pressa per l'olio e macchine da cucire). Incontro interreligioso tra giovani cristiani e musulmani riuniti insieme nell'Associazione “Donnons nous la main” per conoscere Corano e Bibbia. E per lavorare sulla coabitazione pacifica tra cristiani e musulmani di tantissime etnie diverse. Dopo 30 anni di guerra civile questi sono segni di speranza immensi.
  • Accompagnare le piccole comunità cristiane nel deserto, in zone difficilissime per vivere, per incoraggiarle e invitarle sempre ad essere “in uscita” coraggiosa e fraterna verso il mondo musulmano. Perché non esistono i musulmani. Esistono Ibrahuim, Issakar, Mohammad, Souleymane, Fatime, Zara. Volti, storie, dignità infinite con cui é possibile osare l'incontro, l'amicizia, la collaborazione in vista di un bene comune che sorpassa le diversità e ci sfida a vivere e testimoniare al mondo quella che Tonino Bello chiamava la “convivialità delle differenze”