giovedì 3 aprile 2014

Acqua, piedi e follia







Il “gesto che cambia il mondo”
 al nord-est del Ciad



Amir, amico e giovane artista musulmano ha appena finito di dipingere nella nostra piccola cappellina di Abéché la lavanda dei piedi, il gesto rivoluzionario di Gesù con i suoi amici, nel momento decisivo. I tratti di Gesù e di Pietro sono quelli della gente qui al nord-est del Ciad…scuri ma non troppo, semmai arabeggianti. Sul tavolo una “calebasse”, una tazza ricavata da una pianta tipica che ogni ciadiano utilizza per mangiare la boule (polenta tipica) e bere la “bili” la bevanda tradizionale a base di miglio fermentato. I vestiti anche riflettono quelli che incontri per strada. Un tentativo di immergere il “gesto della follia di Gesù” dentro la cultura del posto.

            Lavare i piedi a qualcuno non è mai scontato, soprattutto se chi lo fa è uno che é considerato maestro, un tipo importante. Qui al massimo lo fanno le mamme con i figli piccoli o le bambine con i fratellini. Ma non si è mai visto un autorità lavare i piedi a qualcuno. Anzi, sarebbe un umiliazione, un abbassarsi, un perdere onore e reputazione sociale. Infatti ai tempi di Gesù era il gesto dello schiavo verso il padrone.

            Per farlo allora, se si è davvero liberi e liberi per amare fino in fondo (Gv 13,1), oltre al coraggio e ad un amore folle capace di perdere onore e reputazione per i fratelli ci vogliono:
·         Acqua: qui nel deserto è davvero duro trovarla e gestirla. Nei villaggi la gente va nei fiumiciattoli da tempo secchi, gli wadi, scava e trova l’acqua che viene caricata sugli instancabili asinelli, chiamati, non a caso, “wazir al nagil”, il ministro dei trasporti. Quanta strada si fanno, carichi come loro stessi (come asini!), e in più trasportando anche le donne o le ragazzine che cavalcano incrociando le gambe in modo da dare la direzione con piccoli colpi di piede sulle guancie della povera bestia.
           
L’”oro blu” viene centellinato per cucinare, bere, lavarsi. Costa e non va assolutamente sprecata! Quando sento che in Italia si consumano in media 6.000 litri al giorno mi viene la pelle d’oca…e quasi da piangere perché tanto la gente se ne frega di come viviamo qui! Ad Abéché centro siamo rimasti una settimana senza…i “pousse-pousse”, cioè i carretti che vendono l’acqua erano passati dai soliti 750 franchi (1,10 euro) a 2.500! Un aumento di più del 200%! E con temperature sui 44-45% come in sti giorni senz’acqua davvero la vita diventa impossibile! Ci si lava con i secchi, si ricicla per lavare gli abiti, si va a prenderla al mercato…si fa come si può. Ma si soffre. Come a Kalayt, 200 Km a nord di Abéché, dove quasi tutta la popolazione soffre di tifo proprio per le condizioni dell’acqua. Anche questa è passione, quella del “popolo del deserto”, che vive sulla pelle condizioni ardue e in un ambiente sfidante dove caldo, siccità e le guerre-ribellioni del passato segnano la vita. Anche in carcere manca l’acqua e Service et Nadji, i responsabili della comunità cristiana, ci chiedono di rivolgerci alle autorità: hanno sete, ma anche cercano medicinali, libri da leggere, un avvocato per chi non ha nulla.

·        Piedi: Sono quelli che più sporchi non si può dei bambini-pastori, spesso provenienti dal sud. Accompagnano pecore, mucche e cammelli lungo tutto il paese alla ricerca dell’acqua. Abbandonati a sé stessi diventano veri e propri schiavi dei loro padroni. Vengono pagati 6-8 euro alle famiglie di origine e spesso non ritornano più a casa. Anche questa è passione, quella del “popolo dei piccoli pastori”. Uno di loro, Alain, è morto nel deserto, di fame e di stenti. Poco prima ha chiesto il battesimo e le sorella di Iriba, Teo, ha provveduto a “immergerlo” nell’amore del Padre.

            Sono quelli luridi delle piccole ragazze dei campi profughi di Farchana che vanno al pozzo a cercare acqua. Insieme ridiamo e scherziamo in arabo e le aiutiamo a caricare i bidoni sugli asini. Sono tantissimi ancora i profughi del Darfur nella nostra immensa parrocchia che va dal Centrafrica alla Libia! Sono arrivati nel 2004 a seguito della terribile guerra del potere centrale di Karthoum contro i ribelli del Darfur. Ci sediamo con loro, parliamo, ascoltiamo…non hanno solo bisogno dei programmi delle ong e del sostegno dell’Alto Commissiariato delle Nazioni Unite per i profughi (UNHCR). Ma di qualcuno che ascolti, condivida un pasto e un bicchiere di bevanda tipica sudanese…anche la loro è passione-calvario. Quella del “popolo dei rifugiati”. Mentre scrivo arriva la notizia che paramilitari hanno dato alle fiamme più di cento villaggi nell’area del Sud-Darfur. La passione continua…ma la condivisione, l’ascolto, lo scherzare insieme sono già piccoli segni e fermenti di resurrezione.

            Sono quelli puzzolenti dei muhajjirin, i ragazzini di strada che con i loro pentolini vagabondano tutto il santo giorno per chiedere quell’elemosina che finirà nelle tasche del loro marabut, il maestro della scuola coranica. I quali approfittano, e non pochi, dei piccoli indifesi e dei loro chilometri. Anni fa furono scoperti casi di violenza e “catene ai piedi” di questi piccoli, diventati veri e propri schiavi! Anche questa è passione, quella dei “piccoli allievi musulmani”.

            Sono quelli callosi di Osmane, che incontriamo sulla strada e ci accompagna a Wara, l’antica capitale del Ouaddai, la nostra regione. Restiamo con la macchina bloccati nella sabbia e lui si fa in quattro per spingere, togliere la sabbia, mettere pietre sotto le ruote. Poi, al ritorno, ci invita a casa sua e ci serve latte di cammello e kissar, un tipico e delizioso piatto arabo delle nostre parti. Ousmane ha mani e piedi segnati dal sole e dal duro lavoro dei campi e dei chilometri al seguito delle mandrie. Anche questa è passione degli “uomini e donne di questa terra”, dove miglio e arachidi fanno fatica a crescere con poca acqua. Ma dove senti “profumo di resurrezione” nell’accoglienza calorosa: seduti sulla stuoia gustiamo latte e kissar, parliamo in arabo della loro vita. Visitare qualcuno, sedersi sulla sua stuoia e accogliere quello che danno è segno che si dà importanza all’invito e alle persone. Mai rifiutare! E quando partiamo ci invita a tornare un giorno…già l’amicizia è in corso…
Servono queste relazioni tra cristiani e musulmani in questa terra, dove prima delle religioni si incontrano le persone, i volti, le storie. Simpatie, accoglienza, il gusto dello stare assieme tra diversi sorpassano, e di gran lunga, teologie, dogmi, “dialoghi interreligiosi”, conferenze e dibattiti…

·        Amore folle: è quello indispensabile di Gesù e di coloro che provano a seguirlo “ai confini del mondo”. E’ quello necessario di ribaltare i ruoli per servire, lavare, amare. Perché amare è ribaltare schemi, tradizioni, usanze e anche aspetti delle culture che non possono capire come il “grande” serva il “piccolo”. Non entra nella testa di tanti…ma nei cuori fa breccia! In quelli dei piccoli Kemkogui, i nostri bambini della Comunità cristiana di Abéché, che hanno fatto quel gesto durante il ritiro di quaresima. A lavare non avevano problemi: sono abituati a servire, perché i piccoli qui devono obbedire, andare al mercato, prendere la legna, l’acqua, portare un messaggio. Ma al momento di lasciarsi lavare tutti erano in imbarazzo…”Ti ringrazio Padre perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11,25).

            Un gesto che ottiene resistenza in coloro, come Pietro, che navigano bene dentro il “si è sempre fatto così” perché gli sta bene così…ma che fa breccia nei cuori degli indifesi, degli ultimi che si affidano e si lasciano amare e ribaltare dentro. Per rischiare tutto, anche la vita, per amore dei fratelli e sorelle.

            Come nel cuore dell’Abbé Xavier, prete centrafricano, che a Boali nel nord del Centrafrica martoriato dalla guerra, ha salvato migliaia di musulmani, rischiando la pelle, dal desiderio di vendetta dei “suoi” cristiani.

            Come nei cuori di Raoul, Ange e Aimé che si spendono anima e cuore per le loro comunità cristiane di Farchana, Tine et Iriba. Servendo, sudando, credendoci…pagando di persona. In ambienti ostili, nel cuore dell’”Islam”dove le nostre chiesette sono state a volte oggetto di attacchi e minacce.

            Come nei cuori di Hassan Moussa, Ahmat, Zara, Ibrahim, Silupin…amici musulmani sempre pronti a servire e farsi in quattro per e con noi.

            Come nel tuo e mio cuore, dove c’è tanto lavoro da fare, ancora e sempre, ma dove, se scaviamo bene, si sente già intenso quel desiderio profondo di lavare piedi e di lasciarseli lavare… quel profumo così forte e bello di “resurrezione e vita” che cambia il mondo.


Buon cammino  a tutte/i verso Pasqua,
vostro fratello e amico sulla strada
Filo