lunedì 23 dicembre 2013

Soltanto allora sarà Natale...





 (Il dipinto si trova nella nostra Cattedrale di Mongo ed é opera di Idriss, pittore musulmano)

Se Ahmat ,musulmano convinto e nostro infaticabile collaboratore, prega al tramonto sulla stuoia nel piazzale davanti alla Chiesa allora è Natale…

Se i giovani cristiani e musulmani si ritrovano ogni sera al Foyer per studiare assieme allora è Natale…

Se Emmanuel e George spendono le loro energie, tempo, sudore e coraggio per la comunità cristiana senza chiedere mai una lira, allora è Natale…

Se la nostra gente non mi ha mai lasciato solo all’ospedale nella malattia, giorno e notte, portandomi da mangiare e pregando per me, allora è Natale…

Se con gli fratelli imam di Abéché e i fratelli pastori delle Chiese protestanti ci stiamo ritrovando da tempo per organizzare la preghiera interreligiosa del 1 gennaio allora è Natale…

Se un sacco di giovani cercano la riconciliazione con il Signore e con i fratelli e sorelle allora è Natale…

Se il cuore di tanti batte verso i vicini Centrafrica e Sud Sudan sull’orlo del tracollo e se la preghiera incessante si ricorda di loro, allora è Natale…

Se un sacco di gente e di gruppi della comunità cristiana di Abéché si spendono fino a tarda sera per preparare la veglia del 24 notte, allora è Natale…

Se le piccole comunità cristiane della diaspora che resistono nel deserto si spendono per accogliere e servire i rifugiati del Darfur, allora è Natale…

Se ci lasceranno entrare il 25 alla prigione di Abéché allora sarà Natale…

Quando l’Africa, l’umanità ferita e i poveri del mondo saranno lasciati finalmente liberi di costruire il proprio futuro,sui passi di Tata Madiba Mandela, 

soltanto allora sarà Natale…

sabato 30 novembre 2013

Venite a scoprire!








Condivido la lettera di invito al gruppo dei giovani di Modena e Reggio Emilia che verranno nella prossima estate per un campo missionario. L’invito è però rivolto anche a chi ha in cuore di passare di qua…
 
 
Carissimo/a un afro-abbraccio dal Ciad!
 
 Già siamo qui (Padre Abakar, sudanese, Padre Alfredo peruviano e io
insieme a tantissimi giovani e laici) ad aspettarvi con la gioia di
scoprire insieme un mondo altro. Si chiama Ciad, prende il nome dal
grande lago che condividiamo con Nigeria, Niger e Camerun. Molti non
sanno dove sia e forse anche tu adesso hai bisogno di una cartina per
orientarti….ma niente paura, un passo alla volta.
 
 Qui è importante venire e scoprire perché siamo agli ultimi gradini
dello scacchiere mondiale, non interessiamo quasi nulla, forse solo il
nostro petrolio. Non abbiamo una borsa valori come Wall Street o
Piazza Affari, vestiti di moda o altre cose molto pregiate. Qui di
importante, di pregiato e di famoso (agli occhi e cuore di Dio!)
abbiamo la gente. Semplice, sofferta, capace di stupire, di farti
andare nei matti ma anche di innamorarti.
 
 Venite a scoprire!
 
 Vi porterò ad Abéché, la porta dell’Oriente, al confine con il
Darfur…un mondo in grandissima maggioranza musulmano. Noi proviamo
l’incontro con loro per realizzare nel nostro piccolo la fratellanza
universale…il 28 novembre, giornata della coabitazione pacifica in Ciad, sono venuti a trovarci l'imam Ali della grande moschea e il rappresentante del Consiglio Superiore degli Affari Islamici...una bellissima sorpresa e davvero il segno di una volontà reciproca di fare cammino insieme...
 
 Faremo lavori manuali, incontreremo la gente e le piccole comunità
cristiane, animeremo i bambinI, inventeremo, ascolteremo le vostre
proposte, ma soprattutto ci lasceremo sorprendere da Dio perché:
“MISSIONE è SEDERSI DOVE LA GENTE SI SIEDE
E LASCIARE CHE DIO AVVENGA”
 
 So che siete gente in gamba che non viene a fare la vacanzetta ma che
vuole scoprire per impegnarsi nella vita….quindi il nostro campo sarà
un esperienza di Dio primaditutto!!!
 
 Portate una Bibbia, un quaderno, roba leggera, un k-way per la
pioggia, autan contro le zanzare, sacco a pelo estivo…e se mi portate
un pezzetto di Parmigiano vi vorrò ancora più bene!
 
 State allegri e carichi…che la vita è bella, se si dona, diceva sempre
Lele Ramin
 
 Un abbraccione a tutti, vi aspettiamo con gioia,
Filo e la famiglia di Abéché

giovedì 31 ottobre 2013

Come alle origini...





Ci siamo ritrovati in mezzo al deserto. Abakar e io, due comboniani alla frontiera est del Ciad. Accompagnati da Christian della comunità di Biltine, siamo arrivati la mattina presto ad Arada, il arabo la terra. Il primo ad accoglierci con un bel the sotto l’hangar (il riparo dal sole fatto di piccoli legnetti) è il pastore protestante Etienne che vive all’entrata del villaggio in una piccola casetta di cemento con la moglie e i tre figli. Sembra di essere alla frontiera del mondo. Intorno a noi pochissimi alberi, alcune montagne che ci circondano e tantissimi pascoli di buoi, pecore, cammelli che si spostano verso sud. La stagione delle piogge è finita e per cercare l’acqua bisogna spostarsi seguendo i pascoli.

Ad Arada i cristiani cattolici sono talmente pochi e disorganizzati che si ritrovano con i protestanti. Così il pastore Etienne è la guida per tutti. Un uomo serio, coraggioso al punto da rischiare sulla sua pelle la sua permanenza in un luogo ostile dove i musulmani all’inizio lo hanno minacciato perché se ne andasse. Ma ora le relazioni sembrano migliorate e i cristiani si fanno rispettare. Sembra di tornare alle origini, pochi anni dopo la resurrezione del Galileo, quando la domenica mattina presto ci ritroviamo sotto l’hangar del pastore per pregare assieme. In 28, con donne e bambini, assiepati in uno spazio ristrettissimo ascoltiamo la Parola e affidiamo al Padre-Madre di tutti coloro che fanno fatica. Proviamo a incoraggiare tutti ad andare avanti. Il fatto di essere assieme è già un segno del Regno molto bello. Cantiamo e preghiamo. Chiudo gli occhi e mi sembra di fare un volo nella storia del cristianesimo. Raccogliamo le offerte che aiuteranno la piccola comunità a costruirsi un hangar migliore. Qui una cappella in cemento è ancora troppo un lusso. Siamo alle origini. I cristiani hanno bisogno di trovarsi assieme e di farsi forza.

Concludiamo la preghiera con la polenta e il pollo mangiati come a sud con le mani. Ringraziamo il pastore e la sua famiglia e promettiamo di rivederci presto. Nonostante la lontananza e l’isolamento la piccola comunità resiste. Perché Dio non abbandona.

domenica 20 ottobre 2013

La scoperta della propria piccolezza: il cuore della missione!



Commento libero al Vangelo di domenica 27 Ottobre 2013

Lc 18,9-14


In cammino verso Gerusalemme, il centro del potere politico e religioso che affama la gente di Galilea, Gesù racconta a chi si sente a posto e arrivato una storia presa dalla vita, che può fare breccia nei cuori dei farisei perché li provoca nel vivo! Il loro nome vuol direi “separati” dalla gente, perché il senso di superiorità e rispetto minuzioso delle regole, li fa sentire migliori degli altri. Un rischio molto forte per noi missionari-farisei! Nei giudizi sulla nostra gente non risparmiamo critiche feroci che nascondono un considerarci su un piano rialzato. E invece quanto cammino dobbiamo fare proprio noi che siamo così spesso “separati” dalle gioie e speranze, tristezze e angosce della gente! Nella preghiera al tempio il fariseo sta in piedi per farsi vedere e ringrazia Dio per essere diverso dagli altri. Si mette in confronto, è concentrato su di sé, si auto elogia per i suoi meriti, pensando così di comprare la benevolenza di Dio per lui. Ma in fondo il suo dio è sé stesso, così al di sopra degli altri.

Ai nostri cristiani di Abéché, la “città faro dell’Islam” in Ciad, non passa proprio nel cuore e nella testa di fare confronti. Né con i musulmani né con altri. Guardano a sé, come il pubblicano che resta a distanza perché si sente indegno. Non osano fare elogi di sé, semmai il contrario. Riconoscendo la loro piccolezza chiedono nella semplicità acqua, pane, salute e lavoro. L’essenziale, senza tanti fronzoli. E il perdono soprattutto! Delle molte cadute nel cammino e dell’adagiarsi naturale sulle logiche e mentalità della società che mira ai soldi, prestigio, potere e successo. Come riconoscono i fratelli e sorelle musulmani che in questi giorni hanno festeggiato il “Tabaski”, la festa del sacrificio di Abramo. I pochi ciadiani che hanno potuto sono partiti al grande pellegrinaggio alla Mecca, per riconciliarsi con Allah e ritornare all’alleanza originaria, rappresentata dalla pietra nera della Mecca. 

I nostri cristiani non sono così zelanti nel pagare la decima che potrebbe far funzionare bene tutta la comunità. Anzi è un tasto dolente la coscienza profonda di far parte di una comunità che deve prendersi in mano anche a livello materiale e provare la dignità di vivere la propria fiducia in Dio. Il dare con generosità e il mettere in comune stentano ancora. Ogni gruppo tende a concentrarsi su di sé, perdendo di vista l’orizzonte dell’oltre, della comunità e più in là ancora. Lo slancio missionario e il guardare fuori di sé, verso il mondo musulmano che ci circonda non è evidente. Le ferite di una guerra per il potere lunga trent’anni, che hanno provato a dipingere di religiosa, bruciano ancora sulla pelle viva del popolo ciadiano. 

E il digiuno? Ma quale digiuno per gente che digiuna forzatamente da una vita! In pieno Sahel il cibo non è mai scontato. Come l’acqua, che i bambini vanno a prendere scavando nella sabbia degli wadi, i ruscelli, ormai secchi e che caricano sugli asini per portare in città e guadagnare qualcosa. Ma i prezzi al mercato sono alle stelle. “Prima non era così” mi racconta Joachin, leader della comunità cristiana, da ventiquattro anni ad Abéché. “ Il cibo era accessibile. Ma quando sono arrivati gli organismi internazionali, le ong e la Minurcat, la forza multinazionale di pace, per la sicurezza della regione e l’accoglienza dei profughi dal Darfur, i prezzi sono volati. E’ dura vivere ogni giorno così”.

Non sono un modello i nostri cristiani “nomadi” di Abéché. Vengono dal sud per lavoro e non sono originari di qui. Ma resistono assieme, lontani dalla propria terra e spesso dalle famiglie, in condizioni dure di vita e di contesto non certo semplice. Ma sono consapevoli della propria piccolezza e dei propri limiti e questa è la vera preghiera! Quella che fa verità con sé stessi e con gli altri. Quella che non ha pretese, che non si sente dalla parte giusta, che non fa confronti e non può permettersi di disprezzare gli altri. Il vero dialogo con Dio che innalza i piccoli e abbassa i grandi. Il Dio che ribalta le logiche umane e il corso della storia, nonostante tutto.

Credo nella potenza vera della preghiera” diceva Daniele Comboni ai suoi missionari. Quella bomba atomica di una relazione profonda con Gesù di Nazaret, che fa ti sentire talmente amato al punto che nulla può fermarti. Neanche la morte. “ Io muoio ma la mia opera non morirà” dirà ai suoi missionari sul letto di morte. Carica e passione missionaria alimentano ancora il cuore di tanti che nel mondo provano il sogno di Dio, cercando di fare verità, mettendo da parte, con grande fatica, la presunzione di essere a posto e la tentazione di disprezzare gli altri. Per dire con il pubblicano: “ Dio, abbi misericordia di me peccatore!

martedì 15 ottobre 2013

Daaba





Il suo volto giovane e limpido facilmente trae in inganno. Sembra un ragazzino ma è prete da 6 anni. Originario di Bitkine all’estremo est del Ciad, nella regione desertica del Guera, Daaba è il solo prete diocesano ciadiano originario di questa zone, dove piccole comunità cristiane vivono dentro la stragrande maggioranza di musulmani. Piccole isole dentro un mondo con cui mettersi in dialogo, aperti all’incontro.

Ci accoglie con grande gioia nella sua parrocchia e ci tiene a farci mangiare il Kissar, un pane sottile specialità del mondo arabo, con la salsa di pollo accuratamente preparata dalla sua famiglia. La mamma è ritornata al Padre qualche anno fa e suo babbo, ormai anziano, è accudito dalle 7 sorelle e dai 5 fratelli di Daaba. Vivono in un piccolo villaggio a 5 Km da Bitkine, e spesso si vedono. Daaba in moto passa a trovarli oppure loro scendono in città per vederlo.

Corre a destra e sinistra e si preoccupa di ogni persona e situazione. Anche con la malaria non si risparmia per il lavoro e ci mostra le scuole di Bitkine e i due Foyers, per ragazzi e ragazze. Luoghi dove i giovani, lontani dalle distrazioni e lavori incombenti di casa, possono studiare e crescere assieme. Dalle nostre parti sono piccoli miracoli. E’ lui che sta finendo di costruire la residenza dei ragazzi che hanno cominciato quest’anno a vivere assieme. Li segue e si informa sul cammino di ognuno.

Durante la messa della domenica nella sua comunità di Bitkine ci presenta alla gente e ci chiede di presiedere l’Eucarestia. Parla il kenga, la sua madre lingua, una delle più di 200 che abbiamo in Ciad, e se la cava benissimo con francese e arabo. Non ha problemi di comunicazione e di relazione. Quando parla pesa le parole una ad una, per dare ad ognuna l’importanza che merita. Sembra di ascoltare la voce di un saggio che ha pensato molto prima di aprire la bocca.

Per lui certo non è facile essere l’unico prete ciadiano originario del Vicariato Apostolico di Mongo ad est del Ciad. Vive con Denis prete del Burkina Faso che dà una mano da ormai due anni e la loro relazione sembra molto buona. Il cristianesimo da queste nostre parti è una piccola minoranza e l’ambiente circostante è una forte sfida alla fiducia in Dio. Ma anche un’opportunità unica di incontro, di scambio, di conoscenza per dare solidità e forza alle convinzioni profonde che fanno andare avanti ogni giorno nel cammino.

Il suo nome in arabo vuol dire “Adesso!”. Ed è tutto un programma…è quell’adesso del Regno di Dio che fiorisce laddove la fraternità, la giustizia, l’incontro e la solidarietà sorpassano etichette, ruoli e religioni. Per provare a rendere il mondo un po’ più umano...

lunedì 7 ottobre 2013

Amare senza frontiere





Il sogno di Comboni mette piede ad Abéché

(traduzione dal francese di un articolo scritto  per Combolaa, il bollettino dei Comboniani in Ciad)



 

La domenica 29 settembre 2013 è una data che segna in modo indelebile la storia della missione in Ciad. I Gesuiti, che hanno fondato la comunità cristiana di Abéché nel 1953, passano il testimone ai Missionari Comboniani dopo 60 anni di servizio al Vangelo.

Guidati dal Padre Provinciale, Pietro Ciuciulla ed il suo Consiglio, i padri Fidele Katsan, Michael Mumba et Paolino Tipo Deng, l’equipe comboniana composta dai padri Oswald Baptiste Abakar e Filippo Ivardi Ganapini arriva ad Abéché il 26 settembre dopo una notte trascorsa a Mongo, la capitale del Vicariato Apostolico. Sul posto il Vescovo gesuita Henry Coudray, che aspettava da quattordici anni i Comboniani nel suo Vicariato, accoglie molto fraternamente i nuovi missionari e li accompagna come un vero pastore all’incontro della “città faro dell’Islam” o la “porta dell’Oriente” come amano chiamarla gli Ouaddaiens, gli abitanti della regione d’Abéché.

Mentre il Consiglio Provinciale dei Comboniani si svolgeva, i giorni primi della celebrazione ufficiale del passaggio di consegne, il Vescovo ha introdotto la nuova equipe alla comunità cristiana. Li ha presentati alle CEBs, le comunità cristiane ecclesiali di base, ai laici responsabili, alle Suore dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria e ai diversi Movimenti della comunità cristiana di Santa Teresa del Bambino Gesù dii Abéché. Comunità notevole anche se piccola in rapporto alla popolazione totale della città, in stragrande maggioranza musulmana.

Ma la Parrocchia è enorme se si considerano anche le 32 comunità della diaspora, da accompagnare e servire, là dove dei gruppi più o meno numerosi di cristiani si riuniscono per la preghiera e per vivere insieme la Parola di Dio. Laddove si trovano anche migliaia di rifugiati e sfollati alla frontiera con il Sudan, fratelli e sorelle tra i più poveri e abbandonati, senza casa né terra. Coloro per i quali Daniele Comboni invita i suoi missionari a dare la vita.

Voi siete venuti qui per amare senza frontiere” ha detto il Vescovo ai comboniani che cominciano la nuova missine durante la Messa d’introduzione. Facendo riferimento al Vangelo del giorno (Lc 16,19-31) dell’uomo ricco e del povero Lazzaro, il Vescovo Coudray ha detto che noi tutti siamo dei poveri ma, al contrario dell’uomo ricco che non vede il miserabile sulla soglia della sua casa, il vero e solo ricco, il Signore, vede le nostre difficoltà e ascolta il grido del suo popolo. Per questo invia i suoi missionari alle frontiere della missione, nella terra chef u un tempo il Vicariato Apostolico dell’Africa Centrale, affidato a Daniele Comboni. Una missione consacrata al dialogo e all’incontro con l’Islam perché “Dio è vicino al suo popolo” continua il Vescovo “come dice il Corano che Allah è più vicino a noi della vena giugulare”.

« Siamo venuti qui anche se le nostr forze non sono molte. Ma si dà perché si ama e non perché si ha” ha rincarato la dosep padre Pietro durante il su discorso alla fine della messa, quando si è svolto il simbolo del passaggio. Il padre gesuita Fidele Dollo, parroco uscente di Abéché, ha rimesso il registro dei battesimi nella mani della nuova equipe comboniana. A quel momento le danze e i canti incontenibili hanno ravvivato l’Assemblea e hanno manifestato la gioia di una comunità che ha davvero ben organizzato e preparato nei dettagli la festa. 

L’Africa e i poveri si sono impossessati del mio cuore che batte solamente per loro” diceva Daniele Comboni ai suoi missionari. Che questo stesso spirito possa accompagnare la nuova missione comboniana nella terra di Abéché, per camminare al seguito di Gesù di Nazaret, con la gente, verso il Regno di giustizia e pace.