sabato 23 marzo 2013

Non i segni del potere ma il potere dei segni: per una Chiesa del grembiule



 Ricevo da un grande amico e condivido

Ecco come si è presentato il vescovo di Roma: papa Francesco.

Che segni di speranza posti dal nuovo vescovo di Roma, papa Francesco, all'inizio della sua
missione come pastore della Chiesa cattolica!


Non ha voluto indossare da subito la mantellina di rosso porpora che è un segno del potere
monarchico, ma solamente l'abito bianco con le sue scarpe nere e non quelle rosse da pontefice. Si è
rivolto subito alla gente con il saluto popolare “buona sera”, come pure alla fine del discorso
“buona notte e buon riposo”. Si è inchinato di fronte alla gente chiedendo di invocare la
benedizione di Dio su di lui come vescovo di Roma, invitando al silenzio. Ha fatto pregare la folla
con le preghiere semplici dei fedeli. Ha usato un linguaggio pastorale riportando il pontificato al suo
alveo pastorale: vescovo di Roma che è la chiesa che presiede la comunione tra le chiese. Ha dato
così un'apertura ecumenica perché non ha mai usato il nome di papa, sottolineando il cammino da
farsi insieme come vescovo e popolo, recuperando la categoria tanto cara al Concilio Vaticano II “il
popolo di Dio”. Riferendosi al conclave e ai cardinali non ha usato il termine “signori” ma “fratelli
cardinali”. Per tornare a Santa Marta, la sera dell’elezione, non ha voluto usare l'auto blu del
vaticano ma ha preferito accomodarsi nell’autobus dei cardinali.


Quanti altri nuovi gesti nei giorni successivi! Il giorno dopo è andato a pregare ai piedi di
Maria, la madre del Signore, e a prendersi le valige, lasciate nella casa del clero dove aveva
alloggiato prima di entrare nel conclave, chiedendo di pagare il conto. Per i pasti, nella casa di S.
Marta, dove risiedeva ancora insieme a tutti i cardinali, si sedeva dove trovava posto nei tavoli tra i
fratelli cardinali. Dalla finestra dell'appartamento, durante il primo Angelus, ha augurato buon
pranzo. E così, tanti altri segni di sobrietà.


Sono tutte scelte che dicono un nuovo stile di essere papa sulla base della semplicità,
povertà ed essenzialità della vita, così come lo richiede il Vangelo.
Questi piccoli ma grandi gesti hanno toccato profondamente la gente, in maniera tale che tutti
ne parlano con stupore, cogliendone la portata di novità e di cambiamento sulla scia del grande
poverello di Assisi. Ecco, perché ha scelto il nome di Francesco, come lui ci ha comunicato con
l'impegno di non dimenticarsi dei poveri.


Ci troviamo di fronte alla forza enorme che hanno i segni di semplicità, di bontà, di povertà e
di tenerezza. Infatti, è impressionante sentire quanta gente è rimasta toccata da questi gesti,
suscitando tanta speranza. I mass media li raccontano ed evidenziano in maniera sorprendente.
Siamo di fronte alla realtà che aveva profetizzato il grande vescovo Tonino Bello quando
affermava che la Chiesa deve far proprio il potere dei segni e non adottare i segni del potere:
“Ecco perché non dobbiamo più avere i segni del potere ma il potere dei segni! Non per smania di
originalità, ma solo e soltanto per esigenza evangelica!”.


Questi segni nuovi del nuovo vescovo di Roma, papa Francesco, rivelano, senza dubbio, che
siamo di fronte a dei segni dei tempi che la nostra Chiesa deve interpretare e mettere in atto come
Nuovi Stili di Chiesa, potendo così realizzare il sogno di Tonino Bello: la Chiesa del grembiule e
non più la Chiesa del potere.


Tramonte (Padova), 17 marzo 2013
Adriano Sella
(missionario e discepolo di Gesù Cristo)

Fermento di Missione





Commento libero al Vangelo della Resurrezione

 Gv 20,1-9 

Mentre la tensione aumenta in tutto il paese, con le presenze di islamisti che vogliono vendicare l’intervento armato in Mali, il divieto per gli stranieri di avvicinarsi al confine con Camerun e Nigeria, lo rispuntare dei « coupers des routes » che assolgono i viaggiatori, una Buona Notizia percorre le strade del Ciad...c’é movimento attorno al sepolcro! Sul luogo della morte un via vai di gente che profuma di ricerca e di vita. Come attorno alla casa di Frederick, giovane cristiano della comunità di Mandelia, a sud di N’Djamena, morto di epatite. Un incredibile folla che si accalca attorno alla famigia, per pregare, cantare, danzare e riportare speranza nella disperazione.

Maria di Magdala non si arrende, come le donne ciadiane e come Ronel, giovanissima, che nel carcee di N’Djamena piange a dirotto perché le hanno dato 10 anni. E’ buio. Il muezzin canta l’invito alla preghiuera e i musumani di N’Djamena si preparano con le abluzioni per rivolgersi ad Allah. E’ buio per la Chiesa, che si concentra sul nome del nuovo Papa e non su una doverosa, radicale e urgentissima revisione del servizio petrino. E’ buio per l’umanità che cerca felicità nello spred e nei soldi facili senza impegnarsi a ridurre i divari che separano i pochi ricchi dalla stragrande maggioranza dei calpestati della terra. Maria non si da per vinta e tornando là dove la speranza si era rotta, vede che qualcosa si é mosso. Una pietra, quella su cui si é scritta la Legge di Mosé e che ora deve essere tolta per far spazio al primato dell’amore e del messaggio delle Beatitudini. Si riaccende la fiamma. Corre via per raggiungere i discepoli. “Hanno portato via il Signore!” é il grido dei pochi superstiti che ancora cercano ardentemente Dio sulla terra. E che lo vedono sfigurato nel volto degli enfants-bouviers del Ciad, della gente che ha perso la terra per il petrolio, delle bambine schiave degli arabi e violentate a N’Djamena, degli sfollati che vivono sotto le tende perché con le alluvioni dell’anno scorso hanno perso tutto, dei contadini che si vedono invasi i campi dalle bestie degli allevatori. Non é certo il tempo di profeti a di uomini illuminati ad alti livelli...ma Dio li nasconde tra i piccoli come sa fare Lui. Anche qui in Ciad. Come Etienne, responsabile della comunità cristiana della Loumia, a 90 Km sud di N’Djamena, che conduce col cuore la sua gente nel ritiro di quaresima sotto gli alberi e le sorelle Asuncion et Marceline che non mancano mai in carcere per ascoltare e accompagnre i detenuti.

Pietro e l’altro discepolo “amico” di Gesù (cioé tu!) si mettono in moto e corrono. E’ un crescendo di fermento e di vivacità...la vita che rifiorisce dalla morte. Prima sono scappati e ora ritornano perché il richiamo della coscienza e il profumo della vita sono irresistibili. Sono confusi e smarriti come i nostri cristiani, con un piede che cerca l’adesione a Gesù di Nazaret e e con l’altro radicato nella tradizione, nella magia dei cri-cri, nei consigli, nei feticci e nelle cure dei marabout. Ancora non si fidano anche se la vista é già un passo. Nell’anno della fede siamo ancora lontani come Chiesa nell’abbandonarci a Dio. Ma Lui continua a fidarsi di noi. E’ convinto che riuscirà ancora a tirar fuori da noi qualcosa di molto buono. Come Joseph Ratzinger, che sorprende tutti e se ne va dando una lezione alla Chiesa e all’umanità. Il discepolo amico vede e crede. Ha osservato il sudario, le bende e ha riconosciuto che appartenevano a Gesù. Il cuore, la memoria e Maria di Magdala lo riportano all’esperienza della passione e della morte. Senza le quali non c’é resurrezione! Comincia a credere, almeno alla parole di Maria. Perché ancora non ha compreso la Parola, come i due che camminano tristi verso Emmaus (Lc 24,13-35). Non capisce cosa possa voler dire Resurrezione, ma già la sta vivendo. E’ in cammino. Come quando, anche senza comprendere, andiamo avanti, decisi e convinti di essere al posto giusto. Ancora non parlano e non raccontano. La Missione palpita dentro ma ancora la fiamma deve uscire e contagiare gli altri. Tornano dov’erano prima. Ma non sono più gli stessi. La forza della Parola cova dentro. Come mi capita in questo tempo di avvicinanamento lento e in punta di piedi al mondo musulmano. Con la lingua che ancora arranca con l’arabo e fa fatica a sciogliersi.

E’ solo questione di tempo. Perché ben presto la Missione irromperà con la forza dell’energia di Dio. Perché é roba sua. Noi siamo le sue gambe e le sue braccia per portare, vivere e testimoniare la Buona Notizia. Soltanto impregnati di Lui (battezzati!), della sua passione, morte e resurrezione saremo capaci di vedere, sentire e comunicare vita attorno ai luoghi di morte. Per cambiare il mondo!

C’é movimento e vita attorno ai sepolcri della storia...

giovedì 21 marzo 2013

Quaresima ad Am Sinene





Sabato mattina al cercere Am Sinene di N’Djamena tira un aria tesa.

Nella notte 3 prigionieri sono evasi e gli agenti di sicurezza se la prendono con tutti. Non vogliono lasciarmi entrare per visitare i detenuti. Fanno storie anche a Gata Nder, un bravissimo e coraggioso giornalista di N’Djamena Bi-Hebdo, il settimanale che non ne risparmia una al governo e che paga sulla pelle.

                Entriamo e come sempre i nostri amici detenuti, che prima sono persone e volti e poi detenuti, ci fanno festa come sempre. Hanno voglia di parlare, sfogarsi, chiedere consiglio e consolazione. All’eucarestia sotto il tetto in paglia cantano all’impazzata e fanno esplodere una gioia che va oltre. Bob, della Nigeria, intona un canto in inglese, gli altri non lo seguono ma lui non si ferma. Il canto dice che il giorno della liberazione è vicino e che ci troveremo tutti nel Regno un giorno. Mi fa venire la pelle d’oca.

Come Grace ( i nomi sono tutti cambiati per riservatezza e rispetto) che piange perché le hanno appena dato 10 anni! Vuole riconciliarsi con il Padre e mi chiede di farlo. Accanto a lei Marie che invece salta di gioia e viene a salutarci perché dovrebbe essere la sua ultima settimana. Di un tempo durissimo, chiusa dentro celle vergognose, costrette a defecare davanti a tutti in una latrina a cielo aperto che lascia dappertutto un odore rivoltante. Qualcuno non ha neanche la famiglia che viene a visitarlo e a portare qualcosa da mangiare. Suor Assunta regala a chi può qualche sapone e Gata un po’ di the. Dietro le sbarre va bene tutto, anzi!

Molti hanno una Bibbia in mano e tanti altri la chiedono. Per ascoltare e sfogliare la sola Parola che libera. Hanno sete di libertà e di acqua tantissima, ora che andiamo oltre i 40 tutti i giorni e la notte chiusi dentro respirano a malapena.

Hassan guida il gruppo dei musulmani e passo sempre a salutarlo. Intanto le donne si lavano in disparte e timidamente coccolano i figli nelle stanze a loro riservate. Stuoie per terra e poche pretese.

Sylvain è profugo della guerra in Rwanda. Ha perso tutta la sua famiglia e cerca affetto dappertutto.

Quante storie e quante vite nel carcere di N’Djamena. Dio lo tocchi da vicino. E’ là e lotta giorno e notte. Emozionante come sempre visitarlo e scoprirlo nei volti. “Ero carcerato e siete venuti a visitarmi”. 

Grazie Abbà che ti fai trovare sempre dove noi uomini pensiamo ci siano gli scarti della terra. Grazie che trasformi passione e morte in resurrezione e vita. Quanta speranza in carcere e quanto coraggio.

Sempre avanti fratelli e sorelle carcerati. C’è un oltre dove saremo, un giorno, tutti assieme…