giovedì 21 marzo 2013

Quaresima ad Am Sinene





Sabato mattina al cercere Am Sinene di N’Djamena tira un aria tesa.

Nella notte 3 prigionieri sono evasi e gli agenti di sicurezza se la prendono con tutti. Non vogliono lasciarmi entrare per visitare i detenuti. Fanno storie anche a Gata Nder, un bravissimo e coraggioso giornalista di N’Djamena Bi-Hebdo, il settimanale che non ne risparmia una al governo e che paga sulla pelle.

                Entriamo e come sempre i nostri amici detenuti, che prima sono persone e volti e poi detenuti, ci fanno festa come sempre. Hanno voglia di parlare, sfogarsi, chiedere consiglio e consolazione. All’eucarestia sotto il tetto in paglia cantano all’impazzata e fanno esplodere una gioia che va oltre. Bob, della Nigeria, intona un canto in inglese, gli altri non lo seguono ma lui non si ferma. Il canto dice che il giorno della liberazione è vicino e che ci troveremo tutti nel Regno un giorno. Mi fa venire la pelle d’oca.

Come Grace ( i nomi sono tutti cambiati per riservatezza e rispetto) che piange perché le hanno appena dato 10 anni! Vuole riconciliarsi con il Padre e mi chiede di farlo. Accanto a lei Marie che invece salta di gioia e viene a salutarci perché dovrebbe essere la sua ultima settimana. Di un tempo durissimo, chiusa dentro celle vergognose, costrette a defecare davanti a tutti in una latrina a cielo aperto che lascia dappertutto un odore rivoltante. Qualcuno non ha neanche la famiglia che viene a visitarlo e a portare qualcosa da mangiare. Suor Assunta regala a chi può qualche sapone e Gata un po’ di the. Dietro le sbarre va bene tutto, anzi!

Molti hanno una Bibbia in mano e tanti altri la chiedono. Per ascoltare e sfogliare la sola Parola che libera. Hanno sete di libertà e di acqua tantissima, ora che andiamo oltre i 40 tutti i giorni e la notte chiusi dentro respirano a malapena.

Hassan guida il gruppo dei musulmani e passo sempre a salutarlo. Intanto le donne si lavano in disparte e timidamente coccolano i figli nelle stanze a loro riservate. Stuoie per terra e poche pretese.

Sylvain è profugo della guerra in Rwanda. Ha perso tutta la sua famiglia e cerca affetto dappertutto.

Quante storie e quante vite nel carcere di N’Djamena. Dio lo tocchi da vicino. E’ là e lotta giorno e notte. Emozionante come sempre visitarlo e scoprirlo nei volti. “Ero carcerato e siete venuti a visitarmi”. 

Grazie Abbà che ti fai trovare sempre dove noi uomini pensiamo ci siano gli scarti della terra. Grazie che trasformi passione e morte in resurrezione e vita. Quanta speranza in carcere e quanto coraggio.

Sempre avanti fratelli e sorelle carcerati. C’è un oltre dove saremo, un giorno, tutti assieme…

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