Sabato mattina al cercere Am Sinene di
N’Djamena tira un aria tesa.
Nella notte 3
prigionieri sono evasi e gli agenti di sicurezza se la prendono con tutti. Non
vogliono lasciarmi entrare per visitare i detenuti. Fanno storie anche a Gata
Nder, un bravissimo e coraggioso giornalista di N’Djamena Bi-Hebdo, il
settimanale che non ne risparmia una al governo e che paga sulla pelle.
Entriamo
e come sempre i nostri amici detenuti, che prima sono persone e volti e poi
detenuti, ci fanno festa come sempre. Hanno voglia di parlare, sfogarsi,
chiedere consiglio e consolazione. All’eucarestia sotto il tetto in paglia
cantano all’impazzata e fanno esplodere una gioia che va oltre. Bob, della
Nigeria, intona un canto in inglese, gli altri non lo seguono ma lui non si
ferma. Il canto dice che il giorno della liberazione è vicino e che ci
troveremo tutti nel Regno un giorno. Mi fa venire la pelle d’oca.
Come Grace ( i
nomi sono tutti cambiati per riservatezza e rispetto) che piange perché le
hanno appena dato 10 anni! Vuole riconciliarsi con il Padre e mi chiede di
farlo. Accanto a lei Marie che invece salta di gioia e viene a salutarci perché
dovrebbe essere la sua ultima settimana. Di un tempo durissimo, chiusa dentro
celle vergognose, costrette a defecare davanti a tutti in una latrina a cielo
aperto che lascia dappertutto un odore rivoltante. Qualcuno non ha neanche la
famiglia che viene a visitarlo e a portare qualcosa da mangiare. Suor Assunta
regala a chi può qualche sapone e Gata un po’ di the. Dietro le sbarre va bene
tutto, anzi!
Molti hanno
una Bibbia in mano e tanti altri la chiedono. Per ascoltare e sfogliare la sola
Parola che libera. Hanno sete di libertà e di acqua tantissima, ora che andiamo
oltre i 40 tutti i giorni e la notte chiusi dentro respirano a malapena.
Hassan guida
il gruppo dei musulmani e passo sempre a salutarlo. Intanto le donne si lavano
in disparte e timidamente coccolano i figli nelle stanze a loro riservate.
Stuoie per terra e poche pretese.
Sylvain è
profugo della guerra in Rwanda. Ha perso tutta la sua famiglia e cerca affetto
dappertutto.
Quante storie
e quante vite nel carcere di N’Djamena. Dio lo tocchi da vicino. E’ là e lotta
giorno e notte. Emozionante come sempre visitarlo e scoprirlo nei volti. “Ero carcerato e siete venuti a visitarmi”.
Grazie Abbà
che ti fai trovare sempre dove noi uomini pensiamo ci siano gli scarti della
terra. Grazie che trasformi passione e morte in resurrezione e vita. Quanta
speranza in carcere e quanto coraggio.
Sempre avanti
fratelli e sorelle carcerati. C’è un oltre dove saremo, un giorno, tutti
assieme…
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