venerdì 18 gennaio 2013

Missione che sa di Vino





 Commento libero al Vangelo di domenica 20 gennaio - Gv 2,2-11

La Buona Notizia del Vangelo di Giovanni è un lungo viaggio di andata, tra gli uomini, e ritorno, al Padre, da parte del viandante e volto umano di Dio: Gesù di Nazaret. Nella prima parte del percorso, il Libro dei segni (cap.1-12), la comunità di Giovanni presenta alcuni simboli di vita che accompagnano il cammino dell’Uomo di Galilea assieme ad un gruppo di amici.

Il primo, e modello di tutti, è quello delle nozze, il patto d’amore tra Dio e il suo popolo. Alleanza che nel popolo Mbay, in fondo al Ciad, coinvolge interamente le famiglie di origine, capaci ancora, soprattutto nei villaggi, di pilotare e decidere le unioni. Ancora i genitori assegnano le figlie ad un marito che ha già altre spose o ad un giovane che può assicurare la dote: il corrispettivo in denaro della loro “cessione”. Sempre più spesso però giovanissime ragazze, senza adolescenza, si ritrovano con il ventre gonfio dopo una scappatella notturna, fuori da ogni controllo familiare. Famiglie alla deriva, papà inesistenti e una vita segnata per le ragazzine: lavoro nei campi, figli sulla schiena, carichi di acqua, mais, arachidi e legna sulla testa, piccolo commercio al mercato, la mano sul bastone che gira la polenta nel pentolone.

Alle nozze manca quindi l’essenziale: vino, simbolo di amore (Ct 8,2). Quello che non c’è più per il popolo di Israele che ha abbandonato Dio e per i tantissimi ragazzini del Ciad che si trovano a vivere qualcosa più grande di loro. Spesso niente dialogo (anche tra le coppie che provano a vivere assieme!), niente beni in comune (l’uomo detiene tutto e la donna deve fare salti mortali per il cibo e la scuola dei figli), niente pasti insieme (la donna mangia con i bambini quello che avanza dalla polenta e salsa dell’uomo), capanne separate, pochissima fedeltà e relazioni sessuali non di rado forzate.

La madre di Gesù, donna e madre del popolo, coglie il dolore della sua gente, soffre di questa mancanza e invita i servitori a confidare nel Figlio. Prova a farsi discepola e a fidarsi che l’amore può venire solo da Lui. Questo è il grido della terra d’Africa che ha fame e sete di giustizia, pace e riconciliazione dopo secoli di spogliamento, oppressione e schiavitù. Questo è il grido, troppo spesso soffocato dentro, della nostra gente in Ciad, dopo trent’ anni di conflitti, dittatura, corruzione, fame, impoverimento! Dal 2003 il paese è produttore di petrolio che esce dalle vene della terra dei nostri contadini. Spossessati anche delle terre e dell’identità, vivono, più o meno, al livello di sopravvivenza di sempre.

Ma perché manca l’amore? Nella sala delle nozze ci sono le sei giare di pietra per la purificazione dei giudei. Una quantità spropositata di acqua (che non c’è! Le giare sono vuote e inutili) per rendere gli uomini puri e prepararli all’incontro con Dio. Frutto di una religione che mette nella testa della gente che l’amore di Dio va meritato con gesti, impegni, sacrifici. Idee che nascondono un idea di dio fasulla. Quella di un dio che chiede, esige, comanda, punisce. Lontano dal Dio che ha il suo vero volto in Gesù di Nazaret: amore incondizionato e gratuito. E’ Lui che lava i piedi, serve l’uomo, è pazzo dell’umanità (soprattutto di quella ferita al cuore!). Questo è il Dio da annunciare, testimoniare, vivere qui tra gli ultimi del mondo. Dove una tradizione patriarcale fortissima (roba da Antico Testamento!) ostacola la conoscenza del Dio di Gesù. Primeggiano il ruolo dell’uomo e del capo, l’insignificanza dei bambini e delle donne, la stregoneria,  il culto dei sacrifici e rituali della religione tradizionale, il primato della comunità che schiaccia i desideri e creatività del singolo, la gelosia verso chi ha osato fare un passo in avanti nello sviluppo, l’emarginazione dei diversi, l’affogarsi nell’alcool. In questa realtà così sfidante il Vangelo continua a portare con sé più che mai, in direzione ostinata e contraria, un germe rivoluzionario di liberazione: al centro gli esclusi, gli insignificanti, i derelitti della storia. “La malnutrizione dei nostri bambini è una vergogna! Qui a sud abbiamo cibo e acqua. Basta che decidiamo di dare prima da mangiare ai bambini e poi agli adulti che è già rivoluzione!” gridava qualche giorno fa il dottor Patrick di Moissala alla riunione del nostro Comitato Ammalati e Cellula Aids.

La rivoluzione non arriverà certo dall’alto del governo o delle autorità tradizionale e civili. Loro non hanno interesse che le cose cambino. Anzi! Meglio lasciare tutti ignoranti (le scuole in Ciad sono un disastro!), reprimere le contestazioni (hanno messo in carcere sindacalisti e giornalisti, fermato N’Djamena Bi-Hebdo, la principale testata dell’opposizione ed espulso dal paese il vescovo Michele Russo per aver denunciato la mancata distribuzione dei proventi del petrolio!), permettere che l’alcool calmi la rabbia e la disperazione della gente, dare un contentino (asfalto, luce, costruzione di scuole e ospedali, ovviamente senza insegnanti, dottori e infermieri!)

Il vero cambio, il vino alle nozze, frutto della novità evangelica, verrà solo dal basso. Da quegli uomini e donne coraggiosi che, capaci di rompere con alcuni aspetti della tradizione che lega e schiavizza la gente, sentono dentro la sofferenza e il clamore represso del popolo e si mettono in cammino per costruire finalmente il Regno di giustizia, pace e riconciliazione. Gente del calibro di Francois Ngartamadji, responsabile del Centro dei Catechisti di Rakina, ucciso in Ciad nel 1985 dalle truppe del dittatore Hissene Habré, Emmanuel Nerbé e Charlot Koulnan, responsabili dei settori Tuzinde e Jean Baptiste della comunità cristiana di Moissala. Discepoli che hanno gustato il sapore del vino buono e vivono sulla pelle l’amore di Dio che libera. E proprio per questo sono capaci di scendere e rischiare tutto con Gesù di Nazaret per le strade del mondo.

Nessun commento:

Posta un commento